mercoledì 24 settembre 2014

CARA MAMMA

Marzio Salvati
Cara Mamma
 
 Cara Mamma ti ricordi quando ero bambino così e all’uscita della scuola, mi aspettavi sempre lì.
e gli altri bambini salutavi cin il sorriso che tu avevi.
Tornando a casa stringendomi la  mano mi tenevi vicino, ed io camminavo sereno.
Poi veloci correvamo sempre di più fino a quando volevi tu.
Non potrò mai scordare il primo giorno di scuola che fuori dal portone rimanesti a guardare.
Ed io in quel  momento pensavo questa è la prima volta che mi lasciavi da solo.
E ogni volta che cadevo, ogni volta che piangevo sempre a te mi rivolgevo.
Cara Mamma tu amavi ascoltare i miei piccoli sogni e il mio mondo eri sempre tu.
La sera, poi, nei racconti tuoi c’era posto anche per la nonna, che non era più tra noi.
Quando giocavo con l’aquilone, che volava nel cielo lontano, io, con gli occhi pieni di gioia, agitavo forte la tua mano.
Il giorno del tuo compleanno, circondata da parenti e amici, ti dedicavo un piccolo pensiero, per i tuoi giorni felici.
Tanta volte ti ho chiamato, tante volte ti ho cercato ma tu non c’eri più.
Gli anni passano veloci, mi dicevi, ora io sono nonno ma tu resti sempre nei pensieri miei.
 
 

Marzio

 
 

venerdì 19 settembre 2014

IL COMMENTASTORIE DI SERENA


 


SERENA

 

 
POSSESSO DELL’ALTRO
E AMORE
 
 
 

Lei mi dice : ”E’ che per me amare significa possedere tutto dell’altro, cioè sia il corpo, sia la mente”.

A parte la sensazione claustrofobica che, all’istante, mi ha presa alla gola, mi è stato chiaro come l’illusione di una relazione fusionale la condanni al fallimento sentimentale.

L’altro, infatti, non può appartenerci mai, né è giusto, o tantomeno sano, possederne la mente.

Mi ricordo, a tal proposito, il cartone animato “Goldrake” (per noi bambini negli anni Settanta) in cui il grande cattivo Vega aveva sulla fronte una porticina a battente che si spalancava di tanto in tanto, lasciando apparire, irata, la madre!!!

Possedere l’altro  significa voler annullare la distanza incolmabile tra il Sé e l’altro da Sé, per sfuggire alla sensazione angosciante di solitudine e distanza, che, sempre ci separa…e ci rende liberi!

Possedere l’altro, nell’epoca in cui la relazione è spesso filtrata attraverso lo strumento  tecnologico che virtualizza lo scambio, significa, troppo frequentemente, trasformare l’altro da “diverso da me “ e dunque interessante per crescere e confrontarsi, a “uguale a me” per riconoscermi e non sentirmi tanto sbagliato o inadeguato…o solo.

D’altronde, tutto il marketing digitale è fondato sulla contiguità, sulla somiglianza a se stessi.

Lo spam che ci arriva cerca di seguire, ottusamente, la linea dei nostri interessi, facendoci diventare sempre più uguali a noi stessi, fino a rinchiuderci in una gabbia artificiale fatta di specchi, in cui le immagini degli altri che ci appaiono sono semplici riflessi dei nostri desideri, o delle nostre aspirazioni, o delle nostre convinzioni.

Così, è del tutto inutile essere potenzialmente connessi ad infinite possibilità e potenzialità, quando ciò che vogliamo è possedere per controllare, per riconoscerci, per reggere l’ansia della differenza.

Adler diceva che il nevrotico è colui che preferisce essere sovrano nella sua catapecchia, piuttosto che sentirsi anonimo  e disperso aggiungerei io, nell’infinito mondo.

In più, si dimentica che possedere la mente dell’altro è una responsabilità immensa, perché il suo bene e il suo male dipenderebbe dal possessore.

Un’altra amica, molto tempo fa, parlandomi del suo partner, mi diceva: ”Lui deve capire che o sta con me o sta contro di me”.

Sono anni che stanno insieme e lui appare totalmente disidratato, prosciugato, oltre che dipendente da lei, dal suo riconoscimento.

Allora, son qui che, tra una passeggiata in montagna e le ore trascorse al sole marino di questa capricciosa estate, rifletto sul fatto  che il controllo e il possesso non nascono in alcun caso dall’amore per l’altro, bensì dall’angoscia di solitudine e di isolamento.

L’amore non c’entra mai, laddove mi arrabbio perché l’altro è diverso da me, ha tempi e desideri differenti.

L’amore non è lo specchio in cui rimirare la meravigliosità della propria immagine, del proprio modo di pensare, di ciò che si fa.

L’amore è la più profonda occasione che abbiamo di mettere in discussione noi stessi, di sradicarci nell’energia vitale  dell’intimità relazionale e nel ritrovarci consolidati nella forza del sentimento.

Ed è una sfida meravigliosa alle nostre paure più profonde, più ancestrali.

lunedì 9 giugno 2014

IL COMMENTASTORIE DI SERENA


SERENA

 

Il coraggio è la capacità di combattere, nonostante la paura
 
 

 
“… E pure sull’infedeltà avrei molto, ma molto da dire.
 
Nei termini di “slealtà” , “disonestà “ e “opportunismo”, che sono relativi al senso etico con cui si sta nei rapporti e si prendono decisioni, non condivido assolutamente questa propensione.
 
Ma, certamente, riconosco la mia infedeltà nel senso, anche talvolta doloroso, di mobilità, rifiuto della staticità e della fissità, intolleranza per il conformismo e le convenzioni e per tutto ciò che ad esse assomigli, rifiuto categorico di avere una fede se non nell’essere umano e nella sua possibilità/obbligo di continuare ad evolvere, a modificarsi nel tempo per raggiungere, il più possibile, la massima espressione di sé.
In questo senso io sono, anche mio malgrado, infedele, stramaledettamente infedele.

La strada della fedeltà è lineare  e tracciata da altri. Declina e delega ogni responsabilità individuale. Richiede esclusivamente abnegazione, adesione, coinvolgimento più o meno attivo, bisogno di appartenenza.

 
L’infedeltà, invece, quella spinta interna che pretende di portarti oltre, di farti trascendere, trapassare e oltrepassare i limiti e la paura, purtroppo non conduce alla sicurezza, ma probabilmente alla gioia e alla felicità.

Un tempo, quando ero legata mani, piedi e anima, ai miei bisogni di sostegno e dipendenza, di appartenenza e sicurezza, ero fedele fino alla devozione.

 
E fumavo, ero lagnosa, morivo di gelosia e di paura della solitudine.

Poi, un giorno, tagliai il cordone ombelicale, strappai la rete di  protezione, ruppi tutte le stampelle a cui mi ero aggrappata fino ad allora, stabile e infelice.

 
Mi ritrovai libera, inizialmente spaesata, e poi padrona di me e delle mie potenzialità, capace di lasciar morire parti necrotiche della mia vita, potando i rami secchi, per lasciar posto ai nuovi germogli.

D’altronde, l’autunno uccide il consunto,  per dare, dopo l’apparente morte invernale e la conseguente rigenerazione,  posto, in primavera, ad un rinnovamento, a nuove fioriture.

 
Il coraggio è la capacità di combattere, nonostante la paura.

La forza è la capacità di rialzarsi dopo esser precipitati giù.

Non sarei stata capace di  oltrepassare  i miei limiti, o anche di imparare a farne risorse, se avessi ceduto alla tentazione, insidiosa e rassicurante, di accettare pedissequamente e fedelmente i limiti imposti e/o suggeriti dagli altri, dallo stigma social e dal conformismo..”
 

giovedì 24 aprile 2014

ESSERE ANZIANI

 
Marzio Salvati
 
 
 
 

L anziano ha subito vari mutamenti nell’arco della storia.

 Chi la chiama “Terza Età” chi “I meno giovani” ed infine “Vecchi”.

Quest’ultima parola, a mio avviso, è da evitare, poiché suona quasi come un’offesa.
 A volte, l’anziano ha avuto un ruolo centrale ed insostituibile nella società e nella famiglia, mentre, oggigiorno, è considerata una figura marginale, quasi un peso del quale si vorrebbe addirittura fare a meno.

Ad Atene, Aristotele escludeva dal governo tutti gli anziani, mentre a Sparta il vecchio era considerato  “il saggio”,  aveva  cariche politiche ed era chiamato a giudicare nelle varie controversie.

La vecchiaia è un’età che conosce anche le sue gioie, non è un periodo di inoperosità, bensì un momento cui l’uomo ha ancora voglia di fare e di conoscere, forse per questo si dice che non si finisce mai di imparare.

Nel momento attuale, i nonni sono i pilastri delle famiglie. Il ruolo dei nonni verso i nipoti non è legato a nessun vincolo prestabilito, come accade per i genitori, ma è un ruolo famigliare dove prevale affetto e tolleranza.

La relazione nonno-nipote trasmette l’appartenenza di un gruppo,  ma all’interno del quale i nonni raccontano la loro storia ai nipoti narranando, spesso, le condizioni di vita in cui essi sono vissuti.

 Al giorno d’oggi, i nonni accudiscono i nipoti in sostituzione dei genitori dando spesso anche un aiuto economico alla famiglia.

 La loro presenza è un punto fermo e di conforto; quando la famiglia attraversa momenti di difficoltà, essi si ergono a protezione infondendo rigenerata sicurezza.

Un altro dono che i nonni possono dare ai nipoti è il tempo libero, parlare, giocare, stare insieme e godere della compagnia reciproca.  Giocare, per un bambino, è l’attività principale. Tutto dovrà essere fatto con calma e lentezza per la gioia di stare insieme.

Dalle persone anziane si sentono spesso queste parole:“ Promettimi che non mi metterai mai in una casa di riposo”.

Per gli anziani questo potrebbe rivelarsi un trauma emotivo con gravi conseguenze; il distacco e l’abbandono dai loro cari ed il vedere limitata la loro libertà di azione e di decisione. Infine,  non saranno più tra noi e non sapranno illuminarci come stelle nel cielo.

 

 


mercoledì 9 aprile 2014

IL COMMENTASTORIE DI SERENA


SERENA

 

LASCIARSI, MA NON TROPPO

 

 
 

Che strano mondo è questo in cui ci si lascia a metà, ci si odia fino alle botte, ma non ci si vuole separare, perché ogni rapporto diventa esclusivo, deve essere esclusivo e totalizzante, per avere valore, per avere senso...

Loretta mi racconta che lei e l'ex marito, Alessandro, sono tornati a vivere nella stessa casa...per i bambini, dice lei.

Che bugia e che imbroglio per i bambini !!!

Sposati da più di dieci anni, hanno scoperto qualche mese fa i rispetttivi tradimenti, di natura diversa, ma pur sempre tradimenti.

Ma non riescono a stare separati. E' troppo impegnativo organizzarsi con i ragazzi e i soldi; è troppo difficile dividere le loro vite, nate e cresciute nello stesso quartiere.

"Tu che ne dici?, mi chiede Loretta, abbiamo fatto bene?"

E che posso rispondere io?

Io sono per, magari piano piano, chiudere la porta e, con il tempo, buttar via le chiavi delle vite passate, laddove la loro evoluzione non interessi più, quando ci si è feriti troppo e guardarsi in faccia non aiuta a dimenticare.

"Non so che dirti. Se state bene voi..."

"Sì, noi  siamo più rilassati e anche i bambini..."

Mi viene in mente come sia difficile in questo mondo affrontare i distacchi e la solitudine, mancando solidità e senso di sé.

Forse per questo hanno inventato i social network, attraverso cui la gente si illude di avere sempre a disposizione qualche amico...

Mi viene in mente di aver letto da qualche parte che stanno aumentando, nel mondo occidentale, i casi di coppie che, separate , decidono di rimanere a vivere insieme, continuando a frequentare gli stessi amicie a organizzare vacanze insieme con i figli...

Forse è solo perché così ci si illude di poter scegliersi ancora...prima o poi...o semplicemente si diventa la rete su cui cadere, quando la vita diventa troppo difficile.

Abbraccio Loretta, congratulandomi con lei per la decisione.

Tanto i miei dubbi non le servirebbero a nulla.

Evidentemente non è in grado di affrontare una vita da sola, una vita autonoma.

E questo poco c'entra, probabilmente, con suo marito Alessandro.

 

 

martedì 1 aprile 2014

IL COUNSELING PRIMALE



“Al servizio della vita...per il bambino di oggi e l’adulto di domani”(G.Gagliardo)[i]

 

D.ssa Filomena Ferracane

COUNSELOR PRIMALE
 
 
 


Ho cominciato ad avvicinarmi a questo nuovo modo di vivere la gravidanza e tutto il periodo primale, termine coniato per la prima volta da M.Odent, durante il mio percorso di counseling personale, scoprendo le mille sfaccettature che possono in qualche modo essere, se non portate in superficie e elaborate, responsabili di disturbi a lungo termine.
Trattare della nascita è cosa assai ardua e così lontano dalla quotidianità da diventare per certi versi un tabù.

 Ognuno di noi ha a che fare con la nascita e con la morte, in continuo eppure si devono compiere ricerche se si vuole sfiorare l’argomento... non vi è contatto, non vi è tradizione orale, non vi è libertà di espressione. 

Eppure la vita è così legata alla nascita e alla morte che se non si rende parte di noi, intima parte di noi, beh allora si vive in modo incompleto, allora non si può trovare la felicità così tanto agognata, si vive solo a metà. Si sopravvive. 

Il concepimento, la gravidanza e i primissimi anni di vita sono le fondamenta , rappresentano i momenti principali di tutta la nostra esistenza, che non possono essere sottovalutati né posti in un angolo marginale, poiché il futuro di un individuo e quindi della società intera si iniziano a scrivere proprio in questa finestra temporale.

Per molto tempo mi sono chiesta perché tutta questa sofferenza, apparentemente gratuita, perché proprio io, perché proprio quei genitori, quella famiglia, quello stato, quell’ospedale, quella nascita... perché era una delle vie possibili per farmi giungere qui. Ma perché concentrarsi proprio su questo periodo? Perché questo è l’inizio, è il momento in cui la ghianda stabilisce la sua via per diventare quercia. La quercia sarà tale perché la ghianda ha dentro di sé la pianta in essere. L’ovulo fecondato è la ghianda e l’adulto è la quercia.
L’Adultità, quindi la Responsabilità, la Libertà, il Talento, ecc. risiedono in quel magnifico ovulo fecondato, che si sviluppa e cresce in una certa dinamica, con una certa energia, con una certa sinfonia. Quella Sinfonia aiuterà l’embrione a sviluppare l’Uomo(G.Gagliardo). 

 Il bambino sceglie un percorso di vita (o almeno ci prova) e vive esperienze che lo portano a maturare in una certa direzione con certe qualità. Il significato che l’entourage attribuisce alle esperienze del bambino e il modo con cui risponde alle stesse, sollecitano il raggiungimento dell’obiettivo o ne ostacolano il compimento.
 Il segreto non è dunque evitare i ‘traumi’ ma comprendere cosa risiede nel
bambino, comprendere quali sono le sue peculiarità, cercare di entrare in contatto con il suo intimo senso di vita e dunque accompagnarlo nel suo cammino di ricerca fino al raggiungimento del suo Scopo finale.
L’intento del lavoro è quello di realizzare una ‘sufficientemente buona’ genitorialità in modo da permettere alle future generazioni di sviluppare nel modo migliore possibile la loro incarnazione, il loro percorso di vita, il loro Destino.
 “ Personalmente non credo nella dottrina del Trauma, non credo che la ricerca smodata e la spettacolarizzazione del trauma in terapia serva solo in parte, probabilmente mette a tacere alcune parti della nostra mente, per cui se ci si ferma a quel livello potrebbe sembrare un efficace metodo di ‘cura’. Ma se andiamo un po’ oltre scopriamo che riversare su tutto il mondo la responsabilità di quello che siamo, delle nostre nevrosi, dei nostri fallimenti o le conseguenze dei nostri successi, non serve a nulla, diventa addirittura controproducente, imbrigliano ancora di più la nostra potenzialità.
Il pensiero di aver subito un torto o un danno crea vittimismo e ci fa girare su noi stessi. Noi soli contro il mondo, potenziale nemico. I Traumi sono solo episodi che hanno assunto dimensioni gigantesche, poiché non era possibile elaborarli in altro modo. In realtà, se noi li consideriamo esperienze più o meno felici, più o meno efficaci, allora possiamo ridimensionare il tutto e rivalutare il tutto in modo diametralmente opposto.” (G.Gagliardo)
 Partendo, dunque, da questo presupposto, è possibile sviluppare nuovi modi di accompagnare alla Nascita, con l’unico scopo di permettere ai nostri Figli di adempiere al compito che si sono scelti nel miglior modo possibile, cercando di accompagnare genitori, nonni, professionisti della nascita e dell’educazione dentro loro stessi, facendo loro vedere che anche loro possono riavvicinarsi al loro seme, rivivendo il loro concepimento, la loro gestazione, la loro nascita e crescita attraverso quella dei figli, senza creare confusione ma con distacco ed infinito amore guarire quello che per anni hanno considerato ‘traumatico’ o ‘idilliaco’.
La parola chiave è riportare equilibrio e con esso avvicinarsi alla propria esistenza con occhi diversi amando profondamente questa esperienza ed amando profondamente l’esperienza dei nostri figli, unica ed irripetibile.
 Numerosissimi studi condotti da psicologi, medici e terapeuti mostrano oggi l’importanza del Periodo Primale, che indica il periodo che va da poco prima del concepimento sino al primo anno di vita del bambino. Sembra che in questi due anni circa (o per alcuni sino al periodo della verbalizzazione) si formi buona parte di quello che poi sarà l’adulto di domani. Il terreno dove viene piantato il seme è fondamentale per trarne i giusti nutrimenti - ossigeno, acqua, nutrimenti, pensieri, calore, amore, amore, amore.
 Il copione esistenziale inizia ad essere scritto in questa fase fondamentale, prosegue poi sino ai 14 anni, dove si compie il secondo ciclo evolutivo, dopo di che si può intervenire ovviamente, ma è un rimedio, non può essere una ricostruzione. Le cicatrici si rimarginano, ma il segno rimane.

Finalmente, è stato poi sfatata la ‘superstizione parentale’ (J.Hillman) secondo cui tutte le colpe, ma proprio tutte, sono da attribuire alla Madre, in parte magari anche al Padre, infatti sebbene ricoprano un ruolo fondamentale e siano assolutamente responsabili, non sono gli unici esseri con cui il bambino viene a contatto. Coloro che si avvicinano, ad ogni livello, diventano responsabili di quello che creano attorno al bambino stesso. Se siete incinta, aspettatevi che chiunque si faccia gli affari vostri. Il chiunque è responsabile di non dire certe stupidaggini quanto io lo sia di tapparmi le orecchie...  Se ci fate caso nelle biografie si legge ‘il giovane... ha sviluppato queste nevrosi per via di una madre troppo amorevole e soffocante...’ ma si può leggere anche ‘le nevrosi di.... sono state causate da una madre alcolizzata e violenta...’,comunque vada si va a cercare la verità di un determinato comportamento nei genitori, che sono assolutamente imperfetti e va bene così. Superare proprio tutto questo, accettare i difetti e fare pace con la propria Mission, accettandola, provoca uno stato di ben-essere non indifferente. 
Una volta giunti qui, allora possiamo anche parlare di spiritualità, di contatto con l’anima, di realizzazione di Sé e così via. ‘Alla base di ogni conflitto umano vi è sempre il dualismo: la speranza illusoria di poter separare i due poli e far prevalere quello ‘positivo’ su quello ‘negativo’. Questa lotta tiene l’animo umano in uno stato di continua agitazione e gli impedisce di raggiungere il principio unitario.’ (Eva Pierrakos).
 Ricapitolando: non interveniamo sul periodo primale per evitare i traumi infantili ed avere adulti meno nevrotici, interveniamo sul periodo primale per preservare la ghianda e permetterle di diventare la migliore quercia possibile! 
Il Genitore, la Società, la Scuola, l’Ostetrica... sono i fondamentali accompagnatori in questo viaggio, se collaborano allora possiamo surfare sull’onda del nostro destino, se invece continuano ad intralciare allora la ghianda comunque diventa quercia, ma farà molta più fatica e soffrirà maggiormente! Di fatto possiamo risparmiarci la sofferenza e concentrarci sulla Bellezza. 

Il Counseling Primale vuole rendere fruibile la Bellezza! In questo delicato momento della vita l’essere umano è vulnerabile e ricettivo ai fattori ambientali come non lo sarà mai più in questa vita. ‘Ormai si sa che l’architettura del sistema nervoso si crea in questo periodo e quindi in esso è racchiuso il segreto del nostro potenziale di sviluppo e crescita’ (Clara Scropetta).
Se le necessità emozionali e biologiche del nascituro e del bambino vengono soddisfatte le conseguenze sono molto evidenti in termini di salute, voglia e gioia di vivere.
Il parto e le prime ore del dopo parto determinano il legame padre-madre-bambino, crescere e educare un figlio è un lavoro di squadra in cui i membri cooperano per dare alla vita un nuovo e irripetibile essere umano, che da quel momento trarrà la forza necessaria per permettere alle sue potenzialità di potersi esprimere al meglio. 
Il punto di partenza è quindi la necessità di creare una base sicura per le future coppie di genitori, in modo da rendere questo periodo il migliore possibile, nonostante la società, nonostante i preconcetti, nonostante gli usi e le credenze, insomma un punto di riferimento in cui essere liberi di poter comprendere appieno quello che si sta vivendo, senza necessariamente doversi sentire al settimo cielo, senza dover far finta di avere dei disturbi affinché qualcuno possa ascoltarci e possa comprendere come tutto comporti necessariamente gioie e dolori.
 Essere sostenuti dall’amore facilita il rinnovarsi del senso della propria vita, che è un sostegno fondamentale per il ben-essere esistenziale. Sono consapevole che molte difficoltà permarranno per lunghi periodi ancora, ma ho la speranza che tutto cambi repentinamente nel cuore di tutti noi, in ogni caso come direbbe il Presidente degli Stati Uniti ‘I have a Dream’ e questo sogno è quello di vedere un mondo migliore, composto da persone che sanno che cosa vogliono dalla vita, che sanno che non si può continuare ad attingere senza dare, che sanno che non è così che si fa, ma non perché l’hanno letto su un libro, ma perché sono capaci di ascoltare quell’energia interiore che tutto sa e che li conduce necessariamente verso un bene individuale e quindi collettivo.
 Si deve tornare a essere guidati dalla Natura, il nostro corpo sa, il nostro cuore sa, ma abbiamo dimenticato come ascoltarlo, ci siamo dimenticati che per millenni si sono avuti e persi bambini e che le donne si stringevano tutte attorno alla futura madre per aiutarla, la gravidanza e la nascita erano un affare di tutti, o almeno di tutte le donne, oggi non è più così, ci sono tante donne sole, tante famiglie che vivono isolate, ci sono tante realtà di tristezza e di paura che la società di oggi non dovrebbe sottovalutare. Non ci si può stupire della presenza della depressione post partum, del fatto che gli uomini scappino davanti alle responsabilità e della co-dipendenza affettiva dilagante, sono tutte piaghe che dobbiamo impegnarci a risolvere. Nascita e Morte sono momenti speculari indispensabili e fondamentali da cui non ci si può allontanare troppo, forse perché sono entrambi inevitabili, o forse perché sono millenni che si vivono nella stessa misura o forse perché sono momenti nella vita in cui siamo completamente soli presi dalla nostra coscienza e dalla nostra fragilità.
 Il Counselor del periodo Primale deve essere la mano invisibile che aiuta la nuova generazione a nascere, deve essere uno strumento utile, un punto di appoggio per chi desidera condurre la propria esistenza e non essere condotto dalla stessa, per chi è disposto a prendersi la propria responsabilità di fronte alla vita e alle proprie scelte, qualsiasi esse siano, per chi vuole prendere in mano il proprio destino e farne ciò che sente veramente, al di là del posto che è stato per lui preparato.
Concludo con la frase di una delle più grandi ostriche dei nostri giorni Ibu Robin Lim, l’ostrica dai piedi scalzi: “... crediamo che un inizio della vita sano e dolce sia il fondamento di una vita d’incanto. La pace nel mondo può venir costruita cominciando oggi, un bambino per volta…”.
 
 
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Bibliografia :

Nascere con fiducia (G. Gagliardo)
L’arte del counseling (Rollo May)
Il dolore è nel parto (Giovanna Bestetti e Anita Regaglia)
Gravidanza consapevole (Bianca Buchal)
La prima ferita (Willi MAUER)
La scentificazione dell’amore (Michel Odent)
 

[i] Rivisitazione di “Counseling Primale” di Gloria Gagliardo

sabato 29 marzo 2014

BIOGRAFIE SCONOSCIUTE


Elena Lucrezia Corner Piscopia


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Era il 1646, Venezia. La quinta di sette figli, Elena Lucrezia Corner Piscopia, veniva al mondo. Nessuno si sarebbe aspettato che, quel giorno, sarebbe nata la prima donna laureata della storia. Ed era italiana.

 La storia di Elena è una di quelle che ti lasciano l’amaro in bocca. Dimostra fin da bambina di essere un piccolo genio, con capacità di apprendimento strabilianti. Nel 1665, a 21 anni, Elena sovverte già la tradizione: diventa oblata benedettina, rispetta i voti delle monache pur continuando a vivere in famiglia. Il suo punto di forza sono gli studi filosofici, ma la cultura è immensa: conosce come le sue tasche il latino, il greco, il francese, l’inglese e lo spagnolo, e studia l’ebraico.

 Quando, dopo essersi iscritta all’università (a quei tempi definita Studio di Padova) presenta regolare domanda di ammissione alla laurea ecco la spiacevole sorpresa. A una donna, infatti, non era concesso ricevere il titolo di dottore in teologia. Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova (fatto santo ndr), blocca tutto: la donna è inferiore rispetto all’uomo e non è capace di ragionamenti difficili, niente da fare, nessuna laurea.

 Inizia, così, una lunga polemica tra lo Studio di Padova, che aveva acconsentito alla laurea, e il cardinale Barbarigo. A 32 anni Elena ottiene, finalmente, la sua laurea: gliela concedono, però, in filosofia, non in teologia. La cerimonia di proclamazione resta negli annali: aula stracolma, si decide addirittura di spostare la discussione in uno spazio più grande. Qualcuno dice ci fossero, quel giorno, 30mila persone.

 Elena Lucrezia Corner Piscopia si prende la sua rivincita: ora è una celebrità, tutti la cercano, tutti vogliono parlare con lei. Anche Luigi XVI manda i suoi informatori a verificare le doti eccezionali della donna.

 La vita passata sui libri, però, presenta ben presto il suo conto: è il 1684 quando Elena muore, a soli 38 anni. Tra debiti e volontà dei monaci benedettini, non rimarrà nemmeno la statua di Elena, eretta su spinta del padre.

 Oggi, la riproduzione della statua di Elena si trova ai piedi dello scalone del Bo’, nella sede dell’Università di Padova. È ricoperta da pannelli di plexiglas, piena di escrementi di piccioni.

 

Solo nel 1969, nell’occasione del tricentenario, si muove finalmente l’Università di Padova, che avvia delle ricerche su Elena. Lo studio conferma la verità.

 Bistrattata, dimenticata, osteggiata. L’Italia vanta la prima donna laureata al mondo e manco lo sa. Non un’aula universitaria intitolata, non un istituto scolastico superiore, nemmeno un misero francobollo. Elena ha un debito con il nostro Paese, ed è ora di saldarlo.

 

Segnalato da: "Pagani Point", scritto da: Raffaele Nappi

Fonte: corriereuniv.it

 

 

IL COMMENTASTORIE DI SERENA


SERENA


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché  rubacchiavano.
 
 Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano  antipatici.
 
 Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
 
 Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.
 
 Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.”
 
 
 
 Bertolt Brecht

 
 
 


Quando avevo 17 anni lessi “Gli indifferenti” di Alberto Moravia e mi gelò il sangue constatare che la medesima orribile indifferenza della protagonista mi apparteneva.

Ero capace di estraniarmi totalmente dalla coscienza del mio dolore e scinderlo da me, per non precipitarci dentro.

Ovviamente solo la maturità mi ha dato la coscienza chiara di non essere un “cuore di ghiaccio”, come spesso ha voluto farmi credere mia madre, per potermi spremere come un limone affettivo, per potersi lei, riconosciuta come debole, appoggiare su di me con tutto il peso della sua depressione.

Oggi, ultraquarantenne, raggiungo, al contrario dei miei 17 anni, con estrema facilità picchi di dolore profondissimi  e non scappo e li chiamo con il loro nome e li assaporo attraverso una densità emotiva che qualcuno chiama “spessore umano”.

Di quell’antica anestesia emozionale, che qualcuno curò, rimane solo la mia quasi assoluta impossibilità di piangere in qualunque circostanza, anche quando il mio corpo, somatizzando, grida rabbia e dolore.

E leggendo queste riflessioni di Brecht sono stata incredibilmente felice di dirmi:

“Io non sono così. Io sono capace di senso etico e di combattere contro un’ingiustizia, di combattere anche contro chi amo per vedere rispettato il diritto di tutti ad esser liberi e felici”.

 

(Testimonianza rielaborata di una ex paziente)

 

mercoledì 26 febbraio 2014

CATETERI E PAPERE : Riflessioni su vite che cambiano

D.ssa Raffaella Marchi
Counselor Relazionale Prepos


Ovunque mi giri ci sono sedie a rotelle, cateteri, respiratori.
Tanto silenzio, alternato da voci qua e la spesso risate.
Seguo il corridoio, in fondo c’è la mensa e vado a fare il the.
Due uomini in carrozzina parlottano, seduti non per loro volontà, le gambe inermi legate con una banda elastica nera, i jeans semivuoti. Gli passo davanti e saluto con un: buongiorno! Uno di loro, risponde prontamente, l’altro in una frazione di secondo abbassa lo sguardo sulle mani posate sulle ruote e poi mi guarda, solo allora mi risponde. Il suo compagno gli fa uno sguardo di rimprovero e coraggio, deve probabilmente ancora metabolizzare la sua nuova situazione.

Dopo ormai un mese che frequento il C.T.O di Firenze ed osservo ho notato tanti piccoli dettagli  relazionalmente importanti: al muro sono appese fotografie scattate da un ex paziente che ha colto sguardi, oggetti, gesti che raccontano vite intere, vite che ad un bivio han dovuto svoltare; il mercoledì un volontario da ormai 15 anni si aggira nelle camere proponendo in un improbabile accento toscano influenzato ancora dal siciliano i suoi piatti. Insieme ai suoi baffi bianchi arriva puntuale ogni settimana col cestino delle scorte: “per far la roba bona si deve portà da casa la roba bona!” e spadella un pomeriggio intero, salvo poi rincorrerti con un piatto di pasta con le sarde per il corridoio  se provi a non accettare.
Alla macchinetta del caffè le sedie son messe a semicerchio e le porte danno sui giardini da entrambi i lati.

Mi chiedo se, col mio temperamento libero e indipendente accetterei mai che mani estranee si prendano cura di me, mi lavino, mi girino, compiano i gesti che il corpo scollegato non sa più fare da sé.
Torno in stanza dopo essere uscita a prendere fiato, con le mani contro il muro e la testa fra le spalle. Mi appiccico il sorriso. Torno in stanza. Mia madre l’han portata a fare fisioterapia e vedo Rita, timida compagna di stanza appollaiata sulla sua carrozzina che tenta di trovare qualcosa dall’armadietto, mi offro di aiutarla e lei, imbarazzata rifiuta, ma è in difficoltà, negli ultimi mesi è dimagrita sino a sembrare un uccellino e solo il fatto di stare seduta le procura dolori alle ossa del bacino. Tiro fuori il mio lato sballone e le dico che siamo compagne di culo! Lei sorride e le racconto la mia disavventura. Il ghiaccio si è sciolto e mi dice che vorrebbe fare la tinta ai capelli. “Perfetto! Dai giochiamo alle estetiste!” le dico. Accetta, più per vergogna che per altro. Sgancio le ruote della carrozzina, le faccio fare un testa coda, le dico di togliersi la tuta buona e la aiuto a cambiarsi. Sotto ha un busto grottesco, io lo guardo con aria curiosa, da delirante e le dico: posso toccarlo? Lei mi guarda stranita, lo osservo per quello che è: un marchingegno che la sostiene da quando un lipoma gigante 36 anni fa le ha avvinghiato la colonna. Poi con assoluto distacco l’aiuto, le racconto che stavo per fare uno scellerato acquisto, un’improbabile sottoveste strizzolina che avrebbe appianato i miei cicchetti, che sembrava uno strumento di tortura ma poi son tornata sui miei passi. Ridiamo a crepapelle.
Agguanto una traversina per la pipì, gliela fisso con due mollette da bucato intorno al collo, mi infilo i guanti, sfilo la cannuccia dalla coca-cola e mescolo la tinta. Sgommiamo in bagno e cominciamo a stendere la tinta, le faccio la cresta e lei ride. Arrivata sul lato sinistro si porta istintivamente la mano sopra all’orecchio. “Raffaella tengo una malformazione dalla nascita, se ti fa senso non ci passare la tinta!”, non mi ero accorta della sua protuberanza, svelta svelta  mi sollevo i capelli e le faccio vedere che anche a me manca un pezzo d’orecchio, quindi siamo pari. Stringo i denti e le accarezzo la protuberanza vincendo le mie remore sulla disabilità fisica. Lei si rilassa e finiamo di stendere la tinta mentre finalmente Rita si scioglie e mi racconta che iniziò a sentirsi male dopo la nascita di suo figlio, i pellegrinaggi in Italia e all’estero, la malasanità e la condanna alla carrozzina e ai dolori. Poi la crisi economica che porta via l’attività di famiglia e poi la casa. C’è un clima denso in quel bagno d’ospedale, una bolla relazionale fra due sconosciute.
All’improvviso la porta si apre e le infermiere, tre, irrompono. Rimangono basite dalla scena, c’è tinta per capelli ovunque, io con i guanti da chirurgo brandisco minacciosa un pettine macchiato e abbiamo l’espressione di due bimbe colte con le dita nella marmellata. Scoppiamo tutte a ridere e mi dicono ma che fate? E io: giochiamo all’estetista se no che vita è!
Ci lasciano finire, torneranno dopo a fare il giro di medicinali, io faccio lo shampoo a Rita la pettino e le faccio una piega che nessuno le farà mai più…per fortuna.
Anche questo è counseling del buonumore e ha riempito la mia giornata di un sapore davvero pieno, spero anche all’invisibile Signora Rita.