martedì 27 marzo 2012

SCRITTURA AUTOBIOGRAFICA E PROVERBI

 Dimmi che  proverbi  sai  e ti dirò chi sei
Carmela Mantegna




I proverbi sono uno specchio nel quale una persona, una famiglia, una comunità può riconoscersi. Essi descrivono i  valori, le  aspirazioni le  preoccupazioni e l’angolo particolare attraverso cui ognuno vede ed interpreta la realtà e il comportamento. I proverbi sono il ritratto di  una mentalità, di un  modo di vita.Un proverbio è l’eco dell’esperienza, fondata su fatti concreti. Distillati del sapere di tante generazioni, i proverbi raccontano, tuttavia,  poco del passato, ma, non potrebbe essere il contrario, dal momento che annunciano verità sempre valide ed attuali. Sono spesso contraddittori e mostrano la capacità di adattare il loro messaggio e la loro visione del mondo alle circostanze della vita. Trasportano sui binari del tempo messaggi che invitano a relativizzare, a non fare di una mosca un elefante, di un moscerino una trave, un incendio da un filo di fumo.Giochi e acrobazie di parole che, comunque, sintetizzano brillantemente eventi e persone e lasciano biglietti di comportamento e di buone maniere senza offendere nessuno.Usare un proverbio piuttosto che un altro diventa una rapida presentazione della persona : Dimmi che  proverbi sai e ti dirò chi sei. Uno schizzo autobiografico fatto di pochi tratti chiari ed inequivocabili. I proverbi usati in famiglia racchiudono una personale carica affettiva e cognitiva, una propria visione della realtà, un atteggiamento mentale soggettivo.


“Croce accettata, croce portata”

 Chi potrebbe ripetere questo proverbio se non una persona che si prende sempre cura degli altri?  E’ una sollecitazione ad accogliere le prove della vita senza rimurginare. E’ il soggetto invisibile che, visceralmente percepisce la sofferenza degli altri. Certamente, non bisogna leggervi alcuna rassegnazione in quell’accettazione ne’in quel portare il legno, espressione del peso del proprio problema. Accettare è prendere coscienza di un portare il carico della propria difficoltà, non è il carico a portare noi, passivamente assenti alla situazione che stiamo vivendo, ma, siamo noi, consapevolmente a portarlo per conoscerlo ed affrontarlo con le risorse necessarie. Bisogna, tuttavia, non trascurare la modalità comunicativa con cui trasmettiamo questo proverbio. Ci avverte, infatti, la saggezza di un Proverbio: ” E’ il tono che fa la canzone”. Il vero significato di una situazione risulta dalla maniera con cui è comunicata. Siamo noi a dare un senso piuttosto che un altro ad un evento.
Il tono con cui il proverbio “Croce accettata, croce portata”. è trasmesso, può veicolare anche un messaggio di rassegnazione, di totale resa agli eventi della vita e può facilmente costruire la figura della vittima che sa recitare il ruolo di chi ti ripete in una petulante monotonia:”Inutile allontanarla questa croce, rassegniamoci e portiamola !”.Il Proverbio non mira a questo scopo, al contrario, senza diminuire lo spessore della difficoltà (definirla come croce è il massimo di concretezza), tuttavia, invita a fare una scelta (piuttosto che rimanere nell’apatia e nello spegnimento che può provocare una situazione difficile): accettare la croce, che non significa cercarla, ma riconoscerla, quando c’è, ed assumerla, portarla. Non accettarla significherebbe attivare il processo della rimozione che blocca ogni dinamismo interno, ogni possibilità di andare avanti.
Chi ripete questo proverbio sta scrivendo di se stesso più di quanto possa immaginare, uno schizzo, un lampo autobiografico, senza dubbio molto rapido, ma di un bagliore sufficiente per catturare un modo di vedere soggettivo. Il parlare anche per proverbi diventa un biglietto da visita, una breccia, una fessura per entrare in contatto con una persona, conoscerne qualche tratto.


3... 4... 5... E COUNSELING AUTOBIOGRAFICO,OVVERO UNA AUTOBIOGRAFIA QUOTIDIANA

Neva Biagiotti

Le EMOZIONI

COL GREMBIULE

A QUADRETTI

Come il gesto si lega all’autobiografia di ognuno
Nell’età della scuola dell’infanzia, bambine e bambini sono piccoli e tutto è su misura: non sono piccole adulte e piccoli adulti, ma bambine e bambini con specifici bisogni.
Anche i gesti degli adulti verso di loro, devono essere su misura: piccoli come la loro età, brevi, ma con una valenza, densi di significato.

 Ma ritorniamo ai sette nani che incarnano così bene le diverse tipologie di personalità dei piccoli,  sia come idealtipo prevalente, sia come situazioni che si modellano su momenti e periodi specifici; sono i sette nani di Walt Disney e dell’artigianato educativo di PREPOS di cui è direttore il Dott. V.Masini e qui sono coniugati ai gesti di tendere la mano e prendere per mano.

 A volte noi educatrici ed educatori ci troviamo in situazioni che richiedono tutta la nostra calma e serenità per non agitare ulteriormente piccoli e piccole, carichi ed esplosivi come piccoli petardi.

 Secondo me è molto importante la mano dell’adulto tesa verso quel piccolo o quella piccola che si sta perdendo in un mare di rabbia: non sarà presa in considerazione, sarà forse rifiutata anche in malo modo, in quel frangente. Ma, l’adulto  ha mandato il messaggio che c’è, che quando sarà il momento di accettare l’aiuto, ci sarà con gioia, non ha avuto paura dell’ostilità, è pronto a mettersi in gioco.

Per i bambini e le bambine assimilabili ad Eolo dei sette nani, a volte la mano tesa interrompe la spirale di tensione, diventa sbalorditiva, ed è un qualcosa di concreto, molto visivo, che distoglie, che mostra concretamente che il mondo non è in antagonismo con loro: anche se la mano non viene afferrata dalla manina, il gesto entra e chissà che non renda meno tesi e irrequieti e non mostri che possiamo essere aiutati, non occorre sempre lottare.

Sono i piccoli gesti, a misura di bambina e bambino , propedeutici all’apertura all’altro, alla visualizzazione e al sentire  che non c’è solo andare contro, ma anche andare incontro e noi lo stiamo mostrando.

La mano tesa che invita a prendersi per mano, serve anche per i piccoli e le piccole Dotto, persi nei loro mondi e nei loro pensieri: una mano che si tende verso la loro magari con un “Vieni a vedere cosa è accaduto... vieni a vedere cosa c’è...”, li incuriosisce e li invoglia a riprendere la relazione con il contesto ambientale e umano, a rimettere i piedi per terra.

La piccola e il piccolo Gongolo, sempre tesi ad afferrare tutto e poi correre verso altro ancora per cercare nuova soddisfazione, possono essere coinvolti dalla mano tesa, la possono gustare come un piacere, un’attenzione speciale, solo per loro: il tempo insegnerà loro che la mano che prende la loro non c’è solo in quell’occasione specifica, ma c’è sempre, è un’esperienza che si può ripetere.

La piccola o il piccolo assimilabile a Pisolo, pigro, che difficilmente si smuove e si motiva, sarà pungolato dalla richiesta che invia la mano tesa: diventa una mano che chiede una risposta e forse conviene, perlomeno per arginarne l’insistenza disturbante, accettare l’offerta così dopo ci sarà pace. Ma intanto può essere che da cosa nasce cosa: i materiali, i giochi, le attività magari sono accattivanti e può anche scattare la molla dell’interesse.

Per i piccole e i piccoli invisibili, Mammolo per usare ancora i personaggi di Walt Disney, la mano è un chiaro messaggio di sostegno, è un messaggio ben visibile e leggibile che l’adulto ha sentito il loro disagio ed è pronto a dar loro coraggio, accompagnandoli e sostenendoli. Quella mano dice: “Non ti preoccupare, io sono qui pronto a sostenerti. Ti accompagnerò dove ti piacerebbe andare ma non osi... Dai, vieni con me!”.

Per i piccoli adesivi e piccole adesive, i Cucciolo della situazione, la mano tesa è un invito a nozze, neanche si sognano di rifiutarla: ma intanto la mano tesa è un buon aggancio. Per loro è l’occasione di un contatto stretto e privilegiato con l’adulto, ma l’adulto è lungimirante e per mano, li indirizzerà con garbo verso altri lidi, verso tante occasioni di divertimento, verso materiali di gioco e per attività, verso altri bambini e bambine e non solo verso l’amico del cuore... la mano diventa veicolo di assaggi di libertà.

Per i piccoli e le piccole Dotto, la mano è impegnativa: la guardano, poi ti guardano, valutano se è il caso o meno, ma la mano sarà aiutata nel difficile compito dal viso tranquillizzante dell’adulto e da un piccolo sorriso d’accompagnamento. Sarà utile condurlo verso il gioco, il divertimento, il gusto delle cose e del giocare e verso l’amicizia.

Dare la mano è mettersi in gioco quando siamo educatori, è un gesto d’accoglienza, è accogliere l’altro, è dire: “Percorriamo un pezzettino di strada insieme... poi ci lasceremo, ma sarà meglio di prima per me e per te.”.
E’ un piccolo gesto per piccole e piccoli e i piccoli gesti aiutano a crescere..... e non solo bambini e bambine.
               

mercoledì 21 marzo 2012

PICCOLA AUTOBIOGRAFIA DI MARZIO


“SIAMO ANCORA IN  TEMPO”

Questo tempo che stiamo vivendo ci sta rubando le immagini concrete dei bei tempi, dell’acqua cristallina che scorreva fresca gorgogliante dalle valli, della fontana del paese dalla quale potevamo bere nella coppa delle mani. Bello era lo specchio lungo il fiume, il senso solenne del suo cammino dove apparivano, nelle sue limpide acque, innumerevoli pesci e trote.
C’erano le ombre degli alberi secolari con l’allegro canto delle cicale ed il profumo dei pini. La campagna era piena di fiori variopinti, distese di grano e lunghe file di vigneti. Erano colori, odori e sapori di una natura materna, quel senso di armonia e meraviglia dinanzi al rosso dei papaveri. Allora la neve era bianca e la pioggia solo acqua piovana che dissetava la terra.
Le sere d’estate si vedeva il rosso tramonto di fuoco che dava alle spiagge un caldo colore rosato ed il grido di un gabbiamo che spezzava la quiete del luogo. Le onde del mare che si infrangevano monotone, una dopo l’altra sulla riva, sembrava invitassero al riposo della notte imminente.
Il lavoro dell’uomo era certo molto più faticoso ed allora abbiamo gridato al miracolo del progresso, delle macchine operatrici, dei mangimi, dei diserbanti e delle fabbriche con conseguente esodo e spopolamento delle campagne. Siamo entrati nel benessere, convinti che il meglio fosse nell’industrie, nell’urbanizzazione, nell’automobile e la terra affidata alla tecnologia ed alla chimica.
Ma, a lungo ci siamo accorti che questo progresso ci portava a disagi, inquietudini, aria tossica, case come prigioni, traffico caotico e rifiuti indistruttibili. Essere di fronte a questo grande problema non è certo consolante, ma ci da il coraggio di denunciare il male che  stiamo facendo al nostro meraviglioso continente. Sono in pericolo tutte le cose che S. Francesco chiamava “sorelle”. 
Ma, siamo ancora in tempo a riportare il tutto alla nostra dimensione umana
MARZIO

CANTICO DI FRATE SOLE

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual'è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite ll et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per 1o quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et
sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
(S.Francesco)


martedì 20 marzo 2012

3... 4... 5... E COUNSELING AUTOBIOGRAFICO,OVVERO UNA AUTOBIOGRAFIA QUOTIDIANA

Neva Biagiotti

Le EMOZIONI

COL GREMBIULE

A QUADRETTI

 

IL NARRARE E L’AUTOBIOGRAFIA


Nelle scuole dell’infanzia ci sono pubblicazioni da sfogliare e guardare da soli, da leggere quando siamo in gruppo o piccolo gruppo: in genere ai bambini e alle bambine piace ascoltare la voce dell’insegnante che legge e mostra le illustrazioni anche perché vivono in una società che punta molto sul visivo con le grandi immagini pubblicitarie, cartoni animati e videogiochi  a volte visti e usati da soli, per cui una voce che legge e stimola l’attenzione e poi il confronto, che chiede cosa è piaciuto e cosa non è piaciuto, quali i personaggi e i luoghi preferiti e perché, e altro ancora che costituisce spesso il dopo della storia, rende il racconto un evento caldo, un’esperienza di apertura, espressione, una relazione e un insieme di relazioni.

Rientra poi nell’autobiografia dell’umanità nella sua totalità, dall’alba dei tempi, il raccontare, il tramandare dei vecchi alle generazioni seguenti, la voce come passaggio di memorie e messaggi.

Nel raccontare e nell’ascoltare ritroviamo una nostra umanità antica e la tramandiamo... forse anche per questo bambine e bambini amano i racconti, perché è un gusto con radici molto profonde.

Ma il leggere a voce alta, il raccontare, il narrare hanno un legame molto stretto con l’autobiografia dei bambini e delle bambine perché noi dobbiamo guadagnarcelo il loro ascolto, perché noi, narrando, dobbiamo essere molto rispettosi di quelle personcine che ci stanno ascoltando: dobbiamo riuscire a raggiungerli tutti o almeno provarci partendo da quello che ci hanno detto nella loro autobiografia quotidiana.

La scuola dell’infanzia è un tipo di scuola in cui le insegnanti devono usare, più che altrove la flessibilità: ogni intervento educativo assume la connotazione del “su misura”, spazi su misura, e tempi su misura, contenuti su misura e quanto altro ancora ma sempre su misura, come un abito sull’autobiografia di ognuno.

Il narrare deve avere dei tempi elastici, deve poter essere allungato, ridotto, ripetuto in alcune parti,

e deve essere rispettoso dei bisogni narrativi di tutti: è come quando l’oratore regola il dire sul suo pubblico, lo adatta a momenti e persone, controlla attentamente la curva dell’attenzione, ma con finalità molto fini e delicate, come la formazione dei bambini e delle bambine.

 

IL NARRARE:

L’AUTOBIOGRAFIA, PUNTO DI PARTENZA E DI ARRIVO

 

Il narrare ai bambini e alle bambine è spesso una bella avventura di gruppo personalizzata che ben si lega all’autobiografia di ognuno: dalle notizie di sè che bimbe e bimbi ci forniscono ogni giorno in tanti modi,  nascono i piccoli interventi educativi inseriti nel racconto, per cui il racconto stesso influisce sulla parte seguente di autobiografia vissuta giorno per giorno.

Il narrare diventa una bella passeggiata sui sette assi del grafico di personalità di Prepos per essere attratti dalla storia e poi coinvolti in qualcosa di diverso, spesso sconosciuto, ma che intanto viene assaggiato e ci rende più ricchi con il sentire e sperimentare altri possibili modi di essere: sono input e poi chissà!

Chi si muove molto, non riesce a stare fermo come Eolo dei sette nani avrà bisogno della sua piccola parte di racconto dinamico, non perché ne abbia bisogno dal momento che è già assai carico di suo, ma per riportarlo nel contesto con un aggancio piacevole per lui, in modo che poi gusti altri sapori di narrazione che lo aiutano a crescere, come i momenti di quiete e di maggior sensibilità, più densi di significato. E’ un parlare gradevole, pratico e fruibile della quiete dopo la tempesta che però non preclude la possibilità che ci sia di nuovo una volta acquietata: la storia si accende e si spenge nel ritmo narrativo e negli accadimenti, come può spengersi la rabbia che non vuol dire non provarla più.   

Il bambino o la bambina che possiamo assimilare a Dotto dei sette nani, un poco perso nei suoi pensieri, nella sua distrazione, sarà interessato di nuovo se stuzzicato con la curiosità e crescerà con i momenti di maggior sensibilità e affettività.... ma bisogna rendere il tutto appetitoso e con qualche buon interrogativo mirato, stuzzicante, qualcosa che lo stimoli a creare e cercare soluzioni con tante ipotesi! Dobbiamo riportarlo con i piedi per terra, al presente immediato con l’attenzione alla  storia, ma dovrà continuare nel percorso di tutti i giorni per non disperdersi e articolarsi perdendo di vista il qui ed ora, che lo rende presente e operante sul concreto.

Le piccole e i piccoli Brontolo, precisi, logici,scarni, abitudinari, andranno invogliati all’ascolto con piccole descrizioni minuziose, azioni ricorrenti, successioni precise, per poi far assaggiare loro momenti di affettività e di gioia, di piacere che daranno calore e contenuto alla loro logicità. La storia diventa un input d’attenzione ai contenuti, di riempimento di contenitori e schemi da riversare sugli altri con generosità e piacere.

 

Bambine e bambine che possiamo accostare a Pisolo, pigri e troppo quieti per cui è così impegnativo l’ascolto continuato, potranno essere attratti da un tono di voce calmo, che non li disturba e smuove e poi quando sono ancorati possiamo inserire accattivanti momenti dinamici che scuotano un pochino e momenti coinvolgenti, affettivi., dosandoli per non allontanarli.

Piccole e piccoli Cuccioli, così desiderosi di attaccamento, troveranno ciò che li invoglia ad ascoltare con momenti dolci, densi di relazione e contatto, ma da integrare con passaggi di distacco dall’altro, con l’attenzione e la cura anche per l’esterno da sé per possibili scenari in cui stare bene anche soli.

Le piccole e i piccoli Gongoli, saranno attratti dalle storie con momenti di forte emozione, momenti vibranti, ma saranno invogliati così ad ascoltare anche i momenti di freno, di limite, di ridimensionamento e con il ripetersi più volte delle storie sarà inviato loro un input a captare il messaggio che possono ritrovare sempre le emozioni gustate per cui non devono preoccuparsi se finiscono perché possono sempre ricordarle o ritrovarle e a tal fine è opportuno inserire i “Ti ricordi? Vi ricordate?”.

I bambini e le bambine assimilabili a Mammolo con la sua timidezza e i suoi rossori saranno attratti dalla delicata sensibilità di alcune parti del racconto, per poi assaggiare momenti d’impegno concreto, azione coraggiosa, decisioni da prendere velocemente e agire di conseguenza e la soddisfazione dei personaggi di averlo fatto e di essere riusciti in qualche modo vittoriosi: è un messaggio di possibilità per i più reticenti a mettersi in gioco perché non si sentono sicuri, si vergognano, messaggio tanto più efficace soprattutto se il personaggio vincente era piccolo e sperduto come loro.

 


 

Il racconto di una favola, di una storia diventa anche un atto di generosità, diventa il regalo di occasioni e di future scoperte di scenari possibili per ognuno, dopo che ognuno, però, è stato messo nella condizione di riceverlo e accettarlo.      

 

martedì 13 marzo 2012

Il ruolo del padre nello sviluppo personologico dei figli

AUTOBIOGRAFIA E CRESCITA PERSONALE
cARMELA mANTEGNA

Il ruolo designa dei comportamenti, delle attitudini e degli atti coscienti, volontari, concreti che non possono essere intercambiabili. Nessuna madre può assolvere alla funzione paterna e viceversa.
La presenza del padre nell'educazione è indispensabile per uno sviluppo sano ed equilibrato della persona e la crisi, il disorientamento dei giovani sono legati all'assenza dei padri, non solo un'assenza fisica, ma anche una distanza affettiva, un'assenza dal ruolo di padre come educatore, consigliere autorevole e maestro.
La madre rappresenta l’amore fusionale, il padre ha il ruolo di distanziatore, aiuta il figlio nello svezzamento psichico dalla madre, lo e- duce, lo tira fuori con cura, per permettergli di sviluppare la sua identità, la sua indipendenza e il senso di responsabilità al di fuori della simbiosi materna.
Il figlio, da bambino, apprende dalla madre di essere al centro dell’universo, del suo universo ; il padre, invece, gli insegna che esistono altri universi con i quali dovrà interagire per sopravvivere e crescere.
Il padre è chiamato a dare al figlio sicurezza emotiva, a facilitargli l’apprendimento del controllo di sè, insegnandogli il valore della rinuncia e coltivando in lui la pazienza, per introdurlo nel mondo adulto e alle regole sociali.  Se la funzione paterna non apre a questa dimensione comunitaria, i figli rischiano di non uscire dalla dipendenza materna, vissuta come sorgente che soddisfa sempre e subito i loro bisogni. Aiutandoli a separarsi dalla madre, il padre trasmette ai figli il senso del limite, condizione indispensabile perché si formi una personalità autonoma.
L’autonomia rende la persona capace di interiorizzare le regole e anche i divieti, è l’antidoto fondamentale alla dipendenza. Promuovendo l’autonomia nel figlio, il padre lo mette in grado di sviluppare una coscienza morale, che gli consente di distinguere tra bene e male, e di passare dall’egocentrismo all’altruismo, entrando così a far parte della comunità.
L’abdicazione del padre nella sfera sociale probabilmente è alle origini della delinquenza giovanile, perché i giovani sono convinti che tutto gli è dovuto e che gli altri sono a loro servizio(come lo era mamma).
Con la presenza della figura paterna il figlio impara anche a canalizzare la propria aggressività verso una sua espressione positiva e costruttiva, trasformandola in impegno.
Nella vita affettiva, il padre, pur tenendo conto delle proprie emozioni, dona soprattutto la sua esperienza di vita per indirizzare i comportamenti del figlio verso la scelta di valori positivi, il bene, la giustizia, la solidarietà, la pace.
Durante la crescita, se il padre favorisce l’autonomia, gratificando e rinforzando l’autostima nei figli, li aiuta nella formazione della propria personalità. Nell’affermare questo ruolo paterno, molto incide la disponibilità della madre ad includere il padre nella vita del figlio come presenza significativa e autorevole.
Il padre può e deve recuperare il suo ruolo nella vita dei figli, ma senza diventare il genitore-amico, figura diffusa nel nostro contesto sociale e segnale di una banalizzazione dell’a­spetto etico della cura, svuotata di ogni finalità educativa e ridotta ad atteggiamenti di totale accondiscendenza e permissivismo. I figli hanno bisogno del padre come guida autorevole che li indirizza con sicurezza, che sappia affrontare i temi profondi, non quelli superficiali dell’esistenza, che sappia dire loro i no che li aiutano a crescere, coniugando il rispetto delle regole con lo spazio di libertà che per diritto naturale è loro concessa.
I giovani, oggi, hanno una profonda, anche se inconsapevole nostalgia del padre, del suo sguardo che li incoraggia e li accompagna. Se questa figura manca i figli si indeboliscono, non hanno punti di riferimento sicuri.
I figli sanno che il padre è colui che li accompagna finché non sono in grado di camminare da soli.
Il padre sa che deve dare al figlio le fondamenta per crescere e le ali per volare sia al maschile che al femminile.

"Non mi ha detto come vivere:
ha semplicemente vissuto
e ha lasciato che lo osservassi."

(Clarence Budington Kelland)

lunedì 12 marzo 2012

3... 4... 5... E COUNSELING AUTOBIOGRAFICO,OVVERO UNA AUTOBIOGRAFIA QUOTIDIANA

Neva Biagiotti

Le EMOZIONI

COL GREMBIULE

A QUADRETTI




 

maturare in consapevolezza professionale


Parlando con Carmela mi sono ricordata di un fatto capitato quasi dieci anni fa. Ero ad un incontro di formazione per docenti tenuto dal Professor Vincenzo Masini e ascoltavo con molto interesse quanto stava dicendo, ma ascoltai ancora più attentamente quando disse che le insegnanti delle scuole dell’infanzia hanno quasi sempre le ginocchia dei calzoni più segnate perché guardano i bambini e le bambine negli occhi e da lì partono. Io che spesso indossavo un paio di jeans assai scoloriti in quella zona, un po’ per quel motivo ma soprattutto perché li avevo comprati già assai scoloriti, mi sentì sprofondare e poiché probabilmente era un giorno di autostima bassa, pensai subito: “Stai a vedere che per colpa mia ha sopravvalutato la categoria!” e mi sentì ancora di più sprofondare. Semplicemente il Prof. Masini aveva focalizzato quello che facciamo quotidianamente vista l’altezza dei piccoli e delle piccole, ma anche come consuetudine per raggiungerli in modo significativo: aveva sistemato in una cornice giusta una semplice prassi quotidiana, il nostro porsi al loro livello. Questo ha contribuito a farmi capire quanto era importante connotare e analizzare ogni parte della sequenza dell’azione educativa, e maturare in consapevolezza professionale. Lo ringrazio molto per quanto mi ha insegnato e per  l’aiuto che mi ha dato a crescere: anche se gli anni sono 58, è bello sentire quanto le persone che incontri ti aiutano ad essere più consapevole e quanto ti aiutano in un percorso di crescita interminabile, ma che proprio l’essere percorso rende stimolante e saziante.

Per me, per la mia personale esperienza, la lettura dell’autobiografia dei bambini e delle bambine dai tre ai cinque anni ha un canale privilegiato: il guardarsi  e il non guardarsi negli occhi negli occhi.


 
 il guardarsi  e il non guardarsi negli occhi

 

La lettura dell’autobiografia implicita nei bambini e nelle bambine dai tre ai cinque anni ha un canale privilegiato, il guardarsi negli occhi... ma anche il non guardarsi negli occhi.
Questo canale privilegiato si inserisce negli altri tipi di osservazione, dagli atteggiamenti e comportamenti nelle situazioni di gioco, di attività, di vita quotidiana ai prodotti, alle verbalizzazioni e/o altro. Dovremmo poi raccogliere tutti gli elementi in ipotesi di sintesi da verificare con diverse modalità in merito alla congruenza o meno di quanto avvertiamo. Questo insieme di aspetti ci porta a sentire che sapore ha quella personcina: ci dicono qualcosa di bambine e bambini che non hanno gli strumenti per dire o semplicemente non vogliono dire e manifestano in altra maniera un disagio. La scuola dell’infanzia, secondo me, è la scuola dell’osservazione attenta e sensibile per eccellenza per l’età stessa dei piccoli e delle piccole.  Si presentano a scuola bimbi e bimbe che non hanno ancora compiuto tre anni e spesso il linguaggio verbale non è ancora pronto a comunicare, allora si attivano i nostri canali di lettura alternativa, perché ogni bambina e ogni bambino viva l’esperienza scolastica in modo positivo e migliorativo, ma ugualmente ognuno arriva a scuola col suo personale livello linguistico, col suo bagaglio e ogni situazione ha bisogno della nostra attenzione, del personale input per sviluppare al meglio le risorse. Si capisce quanto sia importante guardarsi negli occhi e percepirsi, anche studiarsi.... 

I piccoli avari, secondo le tipologie di personalità elaborate da Prepos, non si lasciano andare  facilmente allo sguardo; prima devono superare la paura, la diffidenza, devono acquisire fiducia e quindi, magari non visti, ti studiano, ma intanto ti raccontano di sé.
I piccoli ruminanti eccome se ti guardano negli occhi !  Anzi, ti sfidano a fermarli.
 I piccoli deliranti ti studiano con curiosità, soprattutto all’inizio, poi, li interessi meno e c’è da ricercarseli.
I piccoli sballoni tesi alla ricerca del proprio divertirsi alla grande, sono sfuggenti perché guardarsi negli occhi è impegnativo e ha dei coinvolgimenti che distolgono da quel mordi e fuggi.
I piccoli apatici, pigri e lenti, vivono come faticoso un rapporto del genere ed è breve il contatto.
I piccoli invisibili, timidi, reggono male lo sguardo e chinano il capo, al contrario dei loro amici adesivi che ti prendono il viso e te lo mettono in posizione perché tu li guardi e li veda proprio, ma proprio bene....

Però, quante cose della loro autobiografia ci raccontano già così, come e quanto ci dicono in quel momento! Quanto ci raccontano delle loro emozioni! Quanto espressivi, anche nel non guardarti, sono gli occhi dei bambini e delle bambine! Esprimono la paura, la rabbia, la curiosità, il piacere, la quiete, la vergogna, l’affettività, esprimono già le loro caratteristiche ricorrenti o legate a momenti particolari, a situazioni.

 Talvolta gli occhietti si spengono, il bimbo, la bimba si allontanano frettolosamente e allora ci chiediamo cos’è accaduto, cosa sta accadendo, qual è il motivo del turbamento... E’ a questo punto che scattano i “Che te ne pare? Come vedi la situazione che ci troviamo di fronte? C’è qualcosa o è una mia sensazione?” di confronto tra le insegnanti. E quanto sono preziosi anche gli scambi di sguardi di questi adulti/e, il guardarsi negli occhi serenamente, pacatamente, da persone consapevoli della loro serietà professionale e della missione comune, è un confronto chiaro e mirato.
 E’ quel bel parlare chiaro con gli occhi, quello scambio di energia che ci carica vicendevolmente, che dà senso alla condivisione e che diventa una condivisione di senso, che ti fa capire quanto non sia solo una parola. In questi frangenti ci si libera di possibili ansietà, riemergiamo dal mare di sensazioni e di ipotesi che ci faceva sentire magari un poco spersi, operiamo insieme una sintesi fatta col cuore e con la mente per innestare su questa l’azione educativa.         
 




 
“…c’è una posizione privilegiata per l’empatia con i bambini della scuola dell’infanzia ed è in ginocchio davanti a loro nella ricerca dello sguardo perché così siamo all’altezza dei loro occhi…”
(neva biagiotti)

venerdì 9 marzo 2012

ALLE RADICI DELLA LIBERTA'

AUTOBIOGRAFIA E CRESCITA PERSONALE
cARMELA mANTEGNA
 
 

il concetto di libertà
La libertà è la facoltà dell’uomo di orientare responsabilmente le proprie scelte verso il bene in vista della propria felicità e della realizzazione di sé.
E’ la facoltà mediante la quale l’uomo determina se stesso ad agire in vista del raggiungimento degli scopi che si è prefisso.
E’ l’apertura alla relazione-dipendenza con Dio Creatore e alla relazione con le creature.
E’ risposta responsabile, prudente, pensata, agita e scelta interiormente e consapevole, alle varie situazioni della vita. La libertà nei suoi aspetti fondanti è autopossesso, inteso come soggettività consapevole, come esercizio della propria volontà, come assunzione personale di un codice morale, come capacità di dare un senso sempre più alto alla propria vita, come disposizione a trascendersi.
E’ capacità di emettere giudizi personali alla luce della verità.
E’ impegno personale e consapevole a perseguire tutto ciò che è vero e buono. Nell’atto libero, nell’esercizio della propria libertà l’io diventa consapevole di se stesso come causa in senso vero e proprio delle proprie azioni. S. Tommaso usa una formula filosoficamente assai audace quando insegna che l’uomo libero è causa sui non nel senso che è causa del suo esserci, ma nel senso che mediante i propri atti configura se stesso.
che cosa si intende per libertà interiore
E’ padronanza di se stessi, conquista dell’autonomia che permette di vivere in maniera responsabile.
 E’ diventare sempre più se stessi, sviluppare la propria identità attraverso il compimento dei propri doveri.
 E’ una libertà che chiede impegno. E’ scoperta del significato della vita attraverso l’esercizio di una libertà da ogni forma di schiavitù e compromesso e di una libertà per l’amore, la conoscenza, l’azione per una scelta della vita.


quali sono i principali ostacoli interni che condizionano l’esercizio della libertà e come si possono superare
La persona è veramente libera nella misura in cui le sue scelte non limitano la sua libertà. Il primo impedimento interno all’esercizio della libertà è l’uso sbagliato della libertà stessa, quando essa è utilizzata in maniera  inconsapevole, incondizionata ed è considerata come un fine assoluto e non  come un mezzo. In questo caso, l’uomo diventa  paradossalmente schiavo della sua stessa libertà, non è lui che sceglie, ma è scelto dalle cose, dalle situazioni e perde il timone della sua vita. Perde il senso del limite. Perde se stesso. La perdita di sé crea in lui ostacoli ancora più laceranti: egli non sa più come e cosa scegliere, non distingue più la frontiera tra il bene e il male, perché è solo l’io che comanda, egli non ha più dei limiti di fronte ad una libertà impazzita e sganciata dalla verità, non riesce più a situarsi nell’essere come soggetto pensante ed agente in maniera razionale e responsabile.


L’uomo può superare gli ostacoli interni che condizionano l’esercizio della sua libertà, innanzitutto, attraverso la presa di coscienza dei suoi limiti e la loro accettazione che non è rassegnazione ma presa in carico di sé, cura di quelle quote del sé che sono cresciute senza la guida della ragione e della volontà, restituendo alla  sua libertà la sua verità più autentica che è responsabilità, dominio di sé, amore per la vita, capacità di scegliere, agere contra naturam, a volte, nella certezza che solo  nella verità si è veramente liberi e solo nella libertà si è veramente veri. Gli ostacoli interni possono diventare spazio di crescita e di cambiamento, un kairos, un tempo di grazia, l’ora stellare, come direbbe il teologo Rahner, perché la legge naturale umana iscritta in ogni uomo porta in sé un progetto di salvezza e di felicità.

    LIBERTA' E AUTORITA'
Il termine Autorità deriva dal latino "augeo", aumentare, far crescere. Nell’antica Roma  l’"auctoritas" indicava la capacità di far crescere una persona ed “auctor” era il soggetto in  grado di promuovere la crescita di qualcuno .
L'autorità rappresenta, pertanto, la forza necessaria per aumentare, promuovere e far espandere  la libertà di una persona. In ogni  processo educativo lo scopo  dell'autorità è favorire la crescita dei soggetti in formazione.

autorità-prestigio
Non può darsi autorità educativa senza prestigio. Non si può promuovere la crescita di qualcuno senza far crescere, innalzare la stima di sé davanti agli occhi della persona che stiamo accompagnando nel suo processo formativo. L'esercizio dell'autorità educativa richiede prestigio, fondato sul ben-essere personale e sul ben-fare personale. I genitori, gli educatori crescono insieme ai figli, insiemi agli educandi.  I genitori crescono (o diminuiscono) di prestigio con il loro modo di essere, di lavorare, di RELAZIONARSI. Un sano ottimismo, l’amore per la propria professione, la spontaneità, il dialogo, la fiducia, la dolcezza, la spontaneità, fare pace in se stessi sono l’espressione più alta  dell’ auctoritas"- prestigio.  

 autorità-servizio
L’autorità non è comando, direttività, controllo, prevaricazione, ma servizio, cura dell’altro, accoglienza della persona, presa in carico della crescita della persona, senza alcuna pretesa di agire, scegliere o decidere al suo posto. E’ fare un pezzetto di strada con lei, sostenerla, orientarla, e-ducere la sua libertà, amarla e lasciarla libera, aiutarla a diventare sempre più se stessa.

autoritarismo
L’autoritarismo non è educazione ma ammaestramento, perché non aumenta, non fa crescere, ma diminuisce la persona, non sollecita una risposta libera, ma favorisce  la menzogna, non suscita l’obbedienza accogliente e consapevole, ma la sottomissione alimentata  dalla paura  e dalla coercizione. L’autoritarismo è l’autorità fine a se stessa in quanto  sostituisce al prestigio la forza e il potere, al dialogo aperto le punizioni.

permissivismo
Sia l’autoritarismo che il permissivismo sono espressioni dell’incapacità dell’adulto ad affrontare un rapporto autentico con l’educando.
Il permissivismo è legittimare ogni forma di comportamento, in una totale mancanza di regole e di controllo. Di conseguenza, non offrendo strumenti per affrontare le inevitabili difficoltà della vita, i figli, i ragazzi in crescita non si abituano ad usare strategie utili per superarle: strategie e strumenti derivano dal possesso di autonomie personali e sociali, dall’abitudine all’ordine e al rispetto verso gli altri. Se l’autoritarismo genera rabbia repressa, desiderio di ribellione e disprezzo dell’autorità, il permissivismo genera scarsa considerazione per gli altri e per la vita sociale, insoddisfazione continua, chiusura in se stessi, mancanza di motivazioni esistenziali, incapacità di affrontare i problemi una volta al cospetto della vita reale al di fuori della famiglia.


La libertà quando comincia a mettere radici è una pianta di rapida crescita
(George Washington )