venerdì 4 ottobre 2013

ETICA DEL LAVORO E DEL LAVORATORE


Psicologa e Counselor Relazionale Prepos


ETICA DEL LAVORO E DEL LAVORATORE


“…Ogni lavoro è vuoto se non c’è amore…
E che cos’è lavorare con amore?
E’ tessere la stoffa  con fili tratti dal vostro cuore, come se la persona che amate dovesse  vestirsi con quella stoffa.
E’ costruire una casa con affetto, come se la persona che amate dovesse abitarla;
è seminare  il grano con tenerezza e raccogliere la messe con gioia come se la persona che amate dovesse mangiarne il frutto.
Il lavoro è amore reso visibile e se voi non potete lavorare con amore
Ma solo con disgusto, è meglio che lasciate il lavoro e vi sediate alla porta del tempio,  accettando l’elemosina di coloro che lavorano con gioia…”(Gibran, Il Profeta)
Non sono per il”politicamente corretto”, né per i buonismi a buon mercato, né per le frasi dette a mezza bocca.
Perciò condivido incondizionatamente l’affermazione che Kahlil Gibran fa a proposito del lavoro. La condivido e la sottoscrivo, indignata contro la sempre più diffusa convinzione che il lavoro debba essere un diritto inalienabile e che uno stipendio sia dovuto anche a coloro che schifano il lavoro che svolgono, o lo trascurano, o lo svolgono senza impegno.
La riflessione di oggi nasce violenta ragionando  sulla storia vergognosa della professoressa di sostegno che letteralmente torturava e umiliava, a Vicenza, un suo alunno autistico di 15 anni.
 In quell’occasione alti si son levati gli scudi difensori di coloro che raccontano il burn out come malattia professionale degli operatori sociali.
La questione è che nessun burn out ti spinge a pulire la faccia dalla saliva di un ragazzo con uno straccio intinto nel detersivo per i mobili.
Nessun burn out ti spinge a dare le forbici in testa ad un allievo.
Mi rifiuto di accettare queste difese miserevoli.

La verità è che molti hanno deciso di diventare insegnanti di sostegno per aumentare il punteggio e giungere, in qualche modo, ad avere uno stipendio sicuro.
Solo che lavorare con le persone autistiche, o ritardate, o handicappate sensoriali non è per tutti e non c’è nessuno che valuta le competenze psicoattitudinali di questi docenti e dei docenti in genere.
La verità è che tutti gli operatori in campo sociale (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti, assistenti domiciliari e scolastici e ora anche i counselor, ovviamente!) dovrebbero  essere sottoposti periodicamente a verifiche non solo sulle competenze, ma anche sulla capacità di gestione efficace dello stress e sui livelli di burn out.
E questo è un fatto.
Spesso, però, questi operatori sono intoccabili, perché pubblici dipendenti blindati e protetti.
Nessuno mi può convincere che l’insegnamento sia un’occupazione come un’altra.
La relazione educativa e formativa presuppone attitudini personali, oltre che competenze professionali, che richiedono anni e anni per la costruzione di una personalità solida ed equilibrata, accogliente e capace di individuare in ogni persona le risorse specifiche e le potenzialità da far emergere.
Chi, per suoi limiti psicoemozionali, non è in grado di relazionarsi con le vulnerabilità e i limiti altrui, dovrebbe essere estromesso dalla possibilità di guadagnare attraverso l’insegnamento o attraverso la pratica medica e/o infermieristica.
Chi ha perso nel corso degli anni la sua umanità (sempre che l’abbia mai avuta) deve essere esonerato dal compito socialmente indispensabile di formare i cittadini di domani.
Chi ha perso, o non ha mai avuto, l’interesse e ,  la capacità di scoprire le differenti attitudini  da valorizzare e sostenere, non ha il diritto di percepire uno stipendio pagato dalla collettività.
Il lavoro, soprattutto in tempi di crisi, quando schiere di giovani meritevoli umanamente e preparati sono a spasso,è un privilegio, un onore, un merito.
Con il termine “merito” non mi riferisco certo al voto della laurea o del diploma.
Il merito sta in coloro che fanno,  che operano, che sanno faticare per fornire a tutti i loro utenti gli strumenti più idonei per il raggiungimento di traguardi personali, adeguati alle peculiari inclinazioni.
Il merito sta nell’operaio che , installando una porta in un’uscita di sicurezza pensa che la soglia rialzata può essere pericolosa in caso di panico e si ricorda di toglierla.
Il merito sta nell’infermiera del Pronto Soccorso che, pur non avendo gli strumenti e l’autorizzazione, si ingegna per togliere una spina di pesce dalla gola di un paziente, che, altrimenti, avrebbe dovuto aspettare ore il medico.
Il merito sta nella cassiera che non si mette a parlare al telefonino, mentre la gente è in fila alla sua cassa.
Il merito è nell’impiegato della Posta che risolve il problema burocratico, invece che arenarsi su di esso.
Il merito è in tutti quei lavoratori che, pur avendone il diritto, non approfittano inutilmente di giorni di malattia o di maternità, o di benefici dovuti alla legge 104, quando hanno da svolgere le loro mansioni.
E il merito è in quei lavoratori che, rendendosi conto di aver smarrito l’entusiasmo e la curiosità, l’energia necessaria a un corretto svolgimento delle funzioni richieste, attivano comportamenti di rinnovamento quali dedicarsi ad attività rigeneranti e/o formative, delegare ad altri ciò che non si riesce a fare, cambiare impiego, chiedendo il trasferimento.
Ci vuole molto coraggio e altrettanta coscienza di sé per fermarsi e dirsi che non si è più in grado di svolgere  un certo ruolo.
Ma un adulto è anche chi sa accettare e riconoscere i propri limiti, tenendo presente che le proprie debolezze potrebbero interferire con il corretto sviluppo  degli alunni, o con l’adeguata cura dei pazienti, o con il benessere futuro…dei figli.
E non può scindersi, in una società fondata sul lavoro, l’essere adulti dall’etica del lavoratore.
E in questa etica rientra sia la serietà  (parola ormai reietta!)nello svolgimento, sia la serietà nella preparazione.
E allora, madri, padri, zii e compari evitiamo le raccomandazioni!
Mi raccapriccia sentire che vengono raccomandati specializzandi in pediatria per evitare gli esami difficili e dovrebbe raccapricciare ogni adulto dotato di qualche barlume di coscienza.
 Domani quel pediatra incompetente potrebbe incontrare vostro nipote, figlio, vicino di casa!
Chiudere gli occhi di fronte a queste consuetudini, ritenute inevitabili, , oltre ad alimentare la cultura del malaffare,danneggia   noi stessi.
Come quando vengono costruite le scuole con materiali inadeguati e sotto ci rimane anche la figlia del sindaco a causa di un terremoto, che , come monito terribile, distrugge solo la scuola elementare!
E, allora, ognuno di noi, adulti ed educatori, ha il dovere di insegnare ai ragazzi attraverso parole e comportamenti che se il lavoro è un diritto la serietà nel lavoro e nella preparazione ad esso e un dovere che può salvare la vita altrui e dare un senso alla nostra.

“Perché se cuocete il pane con indifferenza, cuocete un pane amaro,che soddisfa soltanto a metà la fame dell’uomo; e se pigiate l’uva di malavoglia, la vostra noia distilla nel vino un veleno e se cantate sia pure come gli angeli, ma non amate cantare, rendete  l’orecchio dell’uomo sordo alla luce del giorno e alla voce della notte.”(Kahlil Gibran, Il Profeta).




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