sabato 7 settembre 2013

I RAGAZZI NON DOMANDANO PIÙ

Dssa Daniela Troiani
Psicologa e Counselor Relazionale



Qualche settimana fa sulla Rivista digitale "Il Post" la Prof. Annamaria Testa, docente alla facoltà di Scienze della Comunicazione della "Bocconi" di Milano ha espresso il suo disappunto per  la carenza quasi totale, da qualche anno a questa parte, di domande durante le sue lezioni da parte degli studenti.

Personalmente, così come mi è accaduto nel corso di Conferenze di essere l'unica relatrice realmente interessata alle domande degli astanti, mi è accaduto di constatare come spessissimo i partecipanti a Seminari e Convegni siano riluttanti ad esprimersi con domande e/o obiezioni e/o opinioni individuali se giovani sotto i trent'anni.

Ma questi sono i figli dei test INVALSI, dei questionari a scelta multipla, dei prof iperburocratizzati che non hanno tempo per la creatività e che bollano come "disturbo di apprendimento" la capacità di apprendere per deduzione, invece che per intuizione.

Questo è il tempo del codice binario 0-1 in cui la creatività non può più aver posto, almeno non nei termini che noi conoscevamo.

Questi ragazzi sono accesi o spenti.

Poiché sempre più spesso quelli accesi vengono etichettati come "patologici", allora si anestetizzano, si conformano, si allineano ai discorsi comuni, ai pensieri comuni, all'ingegno mediocre.

D'altronde la generazione dei loro padri, diciamo 45/50enni, è ancora dipendente più o meno economicamente e/o  psicologicamente dai grandi vecchi.

Come possono, questi ragazzi, pensare di ragionare autonomamente?

Vorrei chiedere alla Prof. Testa, certamente molto appassionata all'insegnamento,  di indagare su quanti dei suoi colleghi somministrano domande standard, con questionari  "oggettivi" a scelta multipla e, ancora, quanti, invece, mettono voti più alti ai figli di questo e di quello, indipendentemente dalle risposte...

Non credo che alla "Bocconi", nonostante l'esclusività,   le cose siano molto diverse che in tante altre Università...

Sono gli adulti a spegnere la creatività dei ragazzi, perché vogliono rimanere centrali nella società, perché non se ne vogliono andare, non vogliono fare posto...

Condivido pienamente la sua osservazione, ma la domanda non dovrebbe essere posta ai ragazzi.

Loro sono l'effetto...

Mi occupo da circa vent'anni dei ragazzi e dei loro genitori, oltre che degli insegnanti che da tempo rifiutano il ruolo di educatori.

Quando i problemi non sono con i genitori, la richiesta di aiuto che mi viene da preadolescenti e adolescenti è dovuta pressoché esclusivamente all'emarginazione e dalle difficoltà di inserimento scolastico e amicale, conseguenti alla loro creatività, al pensiero divergente, agli interessi non conformi.

Se un ragazzo non veste come gli altri, sono già gli insegnanti che lo additano come "strano".

Se gli alunni fanno domande, quasi tutti i docenti si infastidiscono, perché, purtroppo, non hanno sufficienti competenze, spesso, per rispondere.

E arrivano all'Università morti dentro, anche in facoltà come Scienze della Comunicazione o Psicologia o Architettura.

E allora, forse noi che li formiamo, dovremmo chiedere maggiore collaborazione, prima che a questi prodotti della nostra diseducazione, a chi li ha formati, convincendoli che il conformismo li possa far procedere nella vita.

Questi ragazzi sono il frutto delle delusioni e del disincanto delle precedenti generazioni, esattamente come  il Sessantotto fu il prodotto delle energie e della creatività del Dopoguerra.

Hanno genitori che vedono nella migrazione, non una opportunità, bensì il fallimento sociale, non una speranza ma una sconfitta.

Hanno genitori che vedono nelle  passioni, nella genialità e nel talento, solo un impiccio, un inganno, un'illusione.

All'Università, purtroppo,  arrivano  probabilmente i più integrati, ovvero quelli più adattabili alle richieste di insegnanti e genitori.

Per quanto possa sembrare paradossale, troppo spesso vanno avanti coloro che hanno rinunciato strada facendo al pensiero libero, creativo e critico.
Quelli vengono, solitamente, premiati nella scuola italiana.

Forse sarebbe il caso che le Università ridefinissero i criteri d'ingresso per poter avere studenti capaci di pensare e domandare, al fine di formare  cittadini in grado di immaginare  e progettare una realtà sociale diversa da quella attuale...

1 commento:

  1. sono felice di leggere questo suo scritto poiché credo nella "libera crescita". è difficile di questi tempi sfuggire alle trappole, ma sono convinta che il valore dell'educazione e i risultati non si misurino col voto scolastico o col successo standardizzato. se penso a mia figlia, che ora ha quattro anni, spero sempre di riuscire a darle gli strumenti per capire cosa vuole e da dove tirar fuori la forza e il coraggio necessari per andarselo a conquistare. spero che sia centrata e in grado di guardarsi dentro veramente; che rispetti gli altri (tutti) per la loro umanità; che viva la vita in modo sereno e mai superficiale; che sappia affrontare la paura. per fortuna esistono persone che sanno e vogliono dire a tutti in quali disastri di burocrazia siamo caduti e magari regalare qualche spunto per liberarsene. grazie per queste parole, grazie. emanuela

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