lunedì 30 aprile 2012

Il gioco serio della follia
Carmela Mantegna


Folli al semaforo, coraggiosi nella vita

«  La folie est le propre de l'homme », La follia appartiene all’uomo, è il proprio dell’uomo, scrive Blaise Cendrars. Abbiamo fatto due traduzioni della medesima frase. Così è nella vita, ogni evento che viviamo è soggetto a traduzioni ed ogni traduzione equivale ad una interpretazione, diversa in rapporto al soggetto, diversa in rapporto alle emozioni che stiamo vivendo, diversa rispetto alle nostre posture interne, diversa in quanto siamo ancorati in una determinata cultura, diversa per follia o per saggezza interpretativa, diversa per tutta una serie di ragioni vere o fatte passare come tali.
Tutto ciò è follia o saggezza? Dove sta la verità o la non verità di ogni cosa? Ci capita, a volte, per fretta o per fantasia, di attraversare la strada con il rosso, ma ci capita pure, per un bisogno emergente e per necessità, di attraversare la vita con il rosso perché spesso non possiamo scegliere nessun altro colore, nel primo caso siamo multati, nel secondo caso nessuno si preoccupa di multarci, perché nessuno si accorge di quello che stiamo vivendo.

Folli al semaforo, coraggiosi nella vita.


Emergenza di follia

La parola follia è sedimentata nel nostro vocabolario quotidiano, usuale, ma è come un blocco di pietra pesante, un macigno che trasporta la paura dell’altro e anche la paura di sé. Sono pazza con i pensieri che mi stanno passando per la testa in questo momento? Una bordeline?

Chissà !!!

Ma, forse, in una realtà diventata palesemente semiseria, da ogni parte emerge l’urgenza ed emergenza della follia per uscire dalla monotonia e dalla ripetizione, da una realtà inamidata dalla abitudine, da comportamenti rigidi, stirati e senza piega, privi di movimento interno, muti soprammobili di una casa senza vita, senza amore e senza follia.
Non esiste grande genio senza una dose di follia”, scrive Aristotele. Tutta la nostra vita è un’opera d’arte e ogni uomo è chiamato ad essere un genio durante la sua esistenza, una genialità che si nutre di passione, entusiasmo, creatività e anche di follia.

Fecondare l’immaginazione come Mirò

Jacques Prévert definisce il pittore Joan Mirò: ” « Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni ». Gioia per la vita, dunque, ma una gioia che respira, attraverso il sogno e il desiderio, nel verde della natura.  Le tele di Mirò lasciano passeggiare in un giardino di sogni forme in completa libertà.
Fissiamo per un attimo lo sguardo su una delle opere di Mirò: Il Carnevale di Arlecchino(1924-25). L’artista applica già la tecnica surrealista dell'automatismo psichico. Egli trasferisce in modo automatico, potremmo dire irrazionale, dunque, folle, nelle forme dell'arte, immagini, forme, associazioni, placide deliranze che sgorgano liberamente dall'inconscio. Creatività o follia di un genio? Un’opera d’arte creativa o semplicemente pura deliranza artistica? Ad ogni modo, la rottura degli schemi artistici, la caduta dei canoni estetici convenzionali ha assicurato alla tela di Mirò una celebrità senza pari, perché il "Carnevale di Arlecchino"  è considerato uno dei capolavori del movimento surrealista in quanto riassume ed esprime, meglio di altre opere, le finalità di questa corrente pittorica.
Il Carnevale appare  come una "visione", un rocambolesco spettacolo in cui strani oggetti, giocattoli fantastici,diavoletti, folletti e esseri senza una forma precisa sembrano danzare un ritmo sconosciuto. Sembrerebbe intravedere la mano di un bambino che si diverte a disegnare forme che ancora non riesce a definire, occupando, senza alcuna preoccupazione prospettica, tutta l’area di un foglio di disegno. Quest’aria infantile esprime, invece, il genio di Mirò, che lascia libero sfogo alla fantasia, proiettando sulla tela un mondo surreale, inconscio popolato da oggetti artistici onirici, che scavalcano e trascendono la realtà.
Nel 1938, nel rievocare questa opera, Mirò spiega tutta la simbologia degli elementi che troviamo non solo nel Carnevale, ma anche in altre sue opere : la scala indica fuga e evasione dal mondo, gli animali sono quelli che amava di più, il gatto era sempre accanto a lui  quando dipingeva; la sfera nera simboleggia il globo terrestre; il triangolo nero che appare alla finestra ricorda la Tour Eiffel. Del cavolfiore, come chiarisce Mirò, gli interessa la sua  vita segreta piuttosto che il suo aspetto. Aller au-delà de l’objet visuel pour “féconder l’imagination. Comme la poésie, le tableau doit être “fécond”. “Il doit faire naître un monde. Qu’on y voit des fleurs, écrit-il, des personnages, des chevaux, peu importe pourvu qu’il révèle un monde.”, “Andare al di là dell’oggetto visivo per “fecondare” l’immaginazione”. Come la poesia, il quadro deve essere « fecondo ». “Esso deve far nascere un mondo. Che si vedano dei fiori, dei personaggi, dei cavalli, poco importa purchè riveli un mondo”, scrive Mirò.  Una  novità esplosiva quella di Mirò, che   agli occhi dei conservatori  può apparire solamente come pura follia !  Ma, chi ha occhi per guardare più a fondo, sa e comprende che si tratta della follia di un genio e non di una persona che ha perso la ragione. Mirò ci insegna che il pittore è come un alchimista dei colori, trasforma e sottopone ad un processo di metamorfosi  la realtà per creare un linguaggio di segni universale.

Veramente libero è forse il folle per fantasia nell’amore

 Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri”, chiarisce ancora Arthur Schopenhauer.
C’è chi non si accorge nemmeno che la storia continua, l’arte si trasforma, l’uomo cambia e la vita indossa stili e comportamenti nuovi. Per questa categoria di persone esistono solo i musei che conservano nel tempo ogni cosa nella loro integrità immutabile e eterea.
 
Bellissima, esplosiva e provocante l’espressione di Friedrich Nietzsche, che ci sostiene di fronte alla follia del déjà vu: ” Occorre avere un po’ di caos in sé per partorire una stella danzante”.
 Follia o libertà? O, insieme, a braccetto,  follia e libertà?  Certamente non possiamo confonderle, ma non possiamo negare che la libertà si nutre spesso di follia per spezzare la prigione di ciò che è definita come normatività o normalità.
Veramente libero è forse il folle? E’ un affronto alla libertà fare una simile affermazione? Ma, in quante occasioni resteremmo bloccati se non osassimo quel passo di follia che recide le corde della paura o del perbenismo di facciata o del tradizionalismo di chiusura? Come potrebbe la libertà essere libera se non si lasciasse corteggiare da un po’ di follia?
Ma, che cos’è folle? Come potremmo definire questo termine? I dizionari canonici lo traducono come non razionale, insensato, anormale, strano, diverso, persino schizoide, in opposizione a razionale, sensato, normale ( o, forse è meglio dire, normato?).
L’etimologia della parola “folle” rinvia al latino follis che significa “soffietto, vescica, sacca, pallone, borsa, sacco gonfio d’aria. Solo Intorno al VI secolo il significato cambia e il termine indica una persona priva di senno, assimilabile alla vacuità di una sacca o pallone pieno d’aria, testa vuota. Per i padri della Chiesa vacuus follis è l’uomo privo di anima. La caratteristica semantica di vuoto, assenza, rappresenterà una costante della concezione medievale della follia. Il folle è il privo di “senno” o di “buon senso”, è il “senza identità”, il “senza memoria”, l’alienus, senza abitudini e regole, senza dimora ne’appartenenza, l’estraneo, il controcorrente, aggiungiamo noi con una espressione più radicale che interpreta la follia della croce, una espressione che riscatta il folle e la follia da tutti i pregiudizi e da tutte le censure sociali.
Perché, in ultima analisi, la morìa, è quella corrente nuova che il vento spinge in senso contrario a quello usuale ed è proprio questa anomalia del consueto che fa di un Mirò un artista di eccezione e di Gesù un folle per amore dell’Umanità!

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