mercoledì 18 aprile 2012

3... 4... 5... E COUNSELING AUTOBIOGRAFICO,OVVERO UNA AUTOBIOGRAFIA QUOTIDIANA

Neva Biagiotti

Le EMOZIONI

COL GREMBIULE

A QUADRETTI

Rispolveriamo il bambino o la bambina che è in noi

Con bambini e bambine non sarebbe male ogni tanto, tornare indietro nel tempo, ritornare alla nostra infanzia, recuperare i ricordi di noi stessi a quell’età, per ricordarsi quanto i piccoli problemi dell’infanzia, magari sciocchezze per gli adulti, si trasformavano talvolta e ingigantivano, diventavano quasi un chiodo fisso, chiedevano risposte che non trovavamo, e ci sentivamo spersi, incompresi.

Ho sentito spesso ripetere il proverbio “Figli piccoli, problemi piccoli... figli grandi problemi grandi!”: se ci pensiamo, a parte il cambio di dimensioni, la parola problema rimane in ambedue le parti del proverbio, non è che la terminologia cambi e neanche il significato del termine stesso.
Anche se i problemi di bambini e bambine agli adulti appaiono piccoli, sempre problemi sono e pesanti come quelli grandi perché a portarseli sono spalle piccole, minute che spesso reggono molto male quel peso, li fa ripiegare, li schiaccia. Per noi educatori è doveroso prendere sempre in considerazione i problemi di piccoli e piccole: in età adulta ci saranno certamente altri problemi ma diversi indubbiamente saranno gli strumenti per esprimerli e per sopperire ad essi. Noi ci occupiamo del qui e ora, ma nello stesso tempo “guardiamo lungo” perché sappiamo bene come micro-disagi possono diventare grossi disagi. La nostra coscienza professionale ed umana tarerà la giusta misura del qui ed ora e del vedere oltre: sensibilità e buon senso educativi ci aiuteranno a coniugare ed armonizzare i due aspetti del nostro operare e procedere.
Nell’infanzia l’educatore è il mediatore tra bambini e problemi, è il punto d’incontro tangibile per un percorso possibile di risoluzione del problema, è il preparatore di punti di partenza per affrontare quello che rimane in ombra, ma dà fastidio e si radica. Quando i piccoli e le piccole ci dicono che hanno paura o ce lo fanno capire, noi educatori dobbiamo metterci al loro fianco, quali fonti di tranquillizzazione perché sentiamo quanto l’emozione della paura diventa un’emozione ricorrente in quel bambino o bambina: ma noi, se ci diamo una spolveratina e togliamo possibili ragnatele,  ci ricordiamo quando da piccoli avevamo paura di qualcosa, quanto ci sentivamo sperduti e fragili, in balia di qualcosa più grande e forte di noi? Dobbiamo far capire loro che non sono soli o sole, che c’è chi ha capito e sentito cosa stanno provando e che è pronto ad aiutarli a portare quel peso, a fare un pezzettino di strada insieme per poi portare e accettare il peso di aver paura come normale, come una delle tante emozioni che ci fanno vibrare e che ci tutelano dai pericoli. E quei bambini e bambine con il bisogno quasi spasmodico della vicinanza di qualcuno al quale attaccarsi? In genere sono vissuti da molti coetanei come “appiccicosetti”, vengono lasciati volutamente da parte perché vissuti come fastidiosi, petulanti, e il bisogno di qualcuno diventa ancora più forte non trovando nessuno, diventa una ricerca spasmodica che irrita ancora di più l’altro pressato e il bambino o la bambina si trovano il vuoto di fronte al bisogno di attaccamento, di sazietà.
 L’educatore dovrà sentire e capire quel bisogno, far sentire la sua presenza e vicinanza per poi aiutarlo a stare anche con se stesso dopo che ha tratto dal mondo circostante nuovi spunti e input per camminare di gusto con le proprie gambe... così arricchito potrà avere amici e amiche che giocheranno volentieri senza sentirsi il suo fiato sul collo. E ci ricordiamo quando ci volevamo divertire tanto tanto e poi il momento terminava, svaniva e ci sentivamo come in un parco giochi dove si spengono le luci e tutti vengono rimandati a casa?
Che sensazione di vuoto, di “non c’è più... è svanito...” che ci invadeva e che bisogno poco chiaro di qualcuno al nostro fianco che ci consolasse, che ci dicesse che ci potevamo ancora divertire così, perché ci sarebbero stati altri giochi da fare, da usare e provare di nuovo quel piacere che ora pareva sfumato nel nulla.
 L’educatore può aiutare a creare una memoria del piacere, dei bei momenti che possono essere sempre recuperati con tanti “ti ricordi quando...”, può aiutare a gustare fissando quel gusto e a recuperarlo al bisogno. E quando diventavamo pigrissimi fino all’inerzia e tutto passava in secondo piano...il rimettere al posto i giochi, l’aver cura delle proprie cose, il giocare, finchè qualcuno non ci stimolava o rimproverava e ci spingeva verso l’azione, il fare... e pian piano il fare ci prendeva la mano e ritrovavamo il gusto di essere protagonisti della nostra vita...
E ci ricordiamo di quando abbiamo provato vergogna, di quando eravamo timidissimi e sentivamo il rossore salire alle guancie... e quanto ci accorgevamo che stavamo arrossendo! E ci vergognavamo ancora di più! E quanto abbiamo cercato disperatamente con gli occhi un riparo che permettesse di non essere visti! Ma l’educatore sente cosa succede a quel bambino o a quella bambina timida e sta vicino, diventa una presenza rassicurante ma non invadente, diventa una presenza discreta che sostiene in quei momenti di difficoltà e negli altri momenti, una presenza che lo accompagna in modo molto soft in un percorso di scoperta e consolidamento del suo essere e fare.
E quante volte ci siamo distratti,vagavamo con la nostra fantasia e perdevamo il nostro contesto di partenza? E magari amichetti e amichette ci prendevano in giro perché eravamo poco presenti e rispondevamo “cavoli per carote”? Ma l’educatore sa riprendere bambini e bambine e riportarli con i piedi per terra,sa interessarsi al loro mondo fantastico, ma sa anche interessarli a quel mondo reale, a quella realtà che li circonda.
Se recuperiamo alcuni ricordi della nostra infanzia, senza dubbio capiamo molto bene cosa succede quando l’emozione si è impadronita a tal punto di quel bambino o di quella bambina e quanto sia importante che l’educatore sia al loro fianco in un percorso di accettazione, riconoscimento e controllo delle emozioni, senza che una di esse li divori e regoli cronicamente il rapporto con se stessi e con la realtà, fissando un copione di comportamento già in tenera età. L’educatore deve offrire proposte formative che diano occasioni di accedere a tanti mondi possibili, deve fornire stimoli per uno sviluppo completo ed armonico della personalità di ognuno, deve fornire un ventaglio che si allarga, che ti permette di trovare ciò di cui hai bisogno. Ma dobbiamo ricordarci di noi bambini, anche in positivo, quando ci bastava poco per essere felici, quando si rimaneva meravigliati ed estasiati di fronte a qualcosa che ai nostri occhi diventava eccezionale, quando bastava un abbraccio a renderci paghi e soddisfatti, quando raccogliere sassolini diventava trovare tesori, quando bastava un cappellino di carta di giornale o di foglie infilzate per sentirci liberi di spaziare con la fantasia. Quante volte per ricentrarci dobbiamo lasciar perdere tutte le sovrastrutture e ritrovare quella semplicità, essenzialità di pensiero, di cuore e d’anima? L’occhio sensibile del bambino sa godere delle semplici cose, sa viverle in funzione di arricchimento e crescita.
L’educatore è colui che prova gioia a stare con i bambini e le bambine, che si fa carico delle proprie responsabilità educative senza averne timore, che ha capacità empatiche che gli permettono di sentire e capire, che ha autorevolezza, ma che sa anche godere delle piccole cose, che sa essere felice dei progressi sei piccoli che gli sono affidati ma in modo equo, come coscienza della propria professionalità e come coscienza delle risorse che quel bambino o bambina è riuscito ad attivare e consolidare, come coscienza del fatto che ognuno ha messo del suo e unendo le forze c’è stato il risultato. L’educatore deve saper vedere con gli occhi dei piccoli il magico di cui rivestono  gioco ed oggetti: cosa rende così attraente quel sasso che un bambino sta guardando con incanto e serietà da un poco di tempo? Senza dubbio lo sta osservando attentamente e scopre tante caratteristiche di tipo scientifico: dimensioni, forma, colori, peso e quant’altro... ma poi se scatta la molla “Assomiglia a .... E’ ...?” e la fantasia parte e il sassolino diventa pietra preziosa, parte di un tesoro dei pirati, la pietra magica che ha poteri da provare puntandolo verso compagni e compagne, che magari si incuriosiscono, si lasciano coinvolgere dal gioco e ognuno riveste quel semplice sassolino della sua connotazione magica. Il gioco diventa così coinvolgente che nasce il bisogno di mostrarlo all’adulto, di riferire con gli occhietti brillanti quali poteri ha e quali magie compie.... e l’adulto tratterà col massimo rispetto quel semplice sassolino che gli occhi e la fantasia di un bambino hanno trasformato in strumento di gioco e in una bella storia da raccontarsi e raccontare agli altri con generosità.... e l’insegnante sorriderà con affetto al bambino dentro di  lui o lei, a quel bambino o bambina che trasformava i sassolini in modo magico, che li trasformava in una favola. Quel bambino o quella bambina sono cresciuti, sono adulti.... ma che diamine, fanno parte di noi e dobbiamo trattarli con affetto e rispetto e perché no, rispolverarli ogni tanto e riportarli alla luce: è un occasione in più che ci diamo per provare affetto per noi stessi e per condividere le gioie della semplicità con quel bambino o quella bambina di una volta.  

 
 

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