L’INTELLETTUALE o della lentezza del pensiero forte
(Riflessioni autobiografiche di qualche anno fa)
Carmela Mantegna
Ci sto pensando da qualche tempo a questo tema e rimando sempre perché mi ripeto come sempre che non è argomento per me (così mi precludo anche il piacere di una riflessione).
Mentre penso con i miei pensieri – perché è una delle poche libertà che nessuno può togliermi – mi pare di poter dire che sto tentando di capire la mia vita, la realtà, le situazioni.
Quanto meno non mi chiudo in quella sonnolenza di un pensiero convergente, che tutto accetta senza una scelta della volontà, senza un discernimento della ragione.
Il problema nasce, quando sto con gli altri perché si tratta per lo più di interlocutori a canale unico e non stop, di interlocutori dalla parola imbavagliata ed esperti controllori del “questo si può dire” e “questo non si può dire”.
Quanto meno non mi chiudo in quella sonnolenza di un pensiero convergente, che tutto accetta senza una scelta della volontà, senza un discernimento della ragione.
Il problema nasce, quando sto con gli altri perché si tratta per lo più di interlocutori a canale unico e non stop, di interlocutori dalla parola imbavagliata ed esperti controllori del “questo si può dire” e “questo non si può dire”.
In poche parole, sono alla ricerca del gruppo dal quale sarò pure uscita in qualche momento della mia vita. Sono la pecora perduta alla ricerca del suo gregge.
E nel frattempo, per non restare come tra color che son sospesi, sto tentando di capire perché non riesco a condividere i miei pensieri.
Donde nasce questa sottile tentazione di tirarmi indietro, di bloccare a metà ogni idea partorita da un pensiero che è come un vulcano in continua eruzione.
Ho il disagio di chi subisce una mutilazione (e quanta sofferenza provo perché mi sento mutilata proprio nel pensiero che rimane chiuso in un solipsismo non scelto ma obbligato).
Deprimere, togliere vita, bloccare il respiro al pensiero, non accoglierlo significa imprigionare lo spirito.
Ho il disagio di chi subisce una mutilazione (e quanta sofferenza provo perché mi sento mutilata proprio nel pensiero che rimane chiuso in un solipsismo non scelto ma obbligato).
Deprimere, togliere vita, bloccare il respiro al pensiero, non accoglierlo significa imprigionare lo spirito.
Ma chi si accorge, oggi, di un pensiero pensante? La fretta non ha tempo, non dà tempo per cui diventa interessante solo ciò che corre, non si ferma, che non prende tempo e che non fa perdere tempo.
A che serve il pensare forte, che ha i suoi tempi, i suoi ritmi, il suo ordine morale, i suoi contenuti.
La cuffia alle orecchie, il grande simbolo del pensiero imbavagliato, ingannato, stuprato, ferito, è da effetto perché “lo fanno tutti” perché nessuno vuole più sentire niente. Ma chi non sente niente che cosa pensa? E’ l’eclissi della ragione !
A che serve il pensare forte, che ha i suoi tempi, i suoi ritmi, il suo ordine morale, i suoi contenuti.
La cuffia alle orecchie, il grande simbolo del pensiero imbavagliato, ingannato, stuprato, ferito, è da effetto perché “lo fanno tutti” perché nessuno vuole più sentire niente. Ma chi non sente niente che cosa pensa? E’ l’eclissi della ragione !
Questi pensieri, a volte, mi bruciano la mente perché, accidenti, mi sento fuori posto e non riesco a trovare il mio posto!
Sto cercando di credere in me stessa esercitando le possibilità, le potenzialità del mio pensiero. Non è una forma sottile di ribellione, ma una lotta pacifica di liberazione e di riconoscimento di quello che sono. Uscire da quegli spazi sociali in cui ho creduto per tanto tempo e ai quali molti altri ancora credono non significa scivolare dritto dritto verso una resa sterile che equivarrebbe ad una disistima totale di me stessa (c’è stato anche questo momento di spegnimento del fuoco che alimenta lo spirito della mente).Ci sono anch’io: è questa presenza riconosciuta, percepita di me a me stessa che mi sta facendo risalire. E’ il distacco dall’abitudine del vivere e l’ingresso nella consapevolezza del vivere. Abituarsi a vivere può essere un momento di ripresa ma non può diventare la formula della vita.
Il vivere è scavare, esplorare, dissodare, seminare, piantare, mettersi in gioco, giocare e non lasciarsi giocare dalle situazioni. L’abitudine è rassegnazione, è la consegna passiva alle situazioni. Vivere è mettersi in situazione: è impegnarsi a vivere.
La vita come impegno è un esercizio continuo di tutto l’essere, una costanza che entra in quella logica della lentezza propria della lumaca. La lumaca non è un modello di pigrizia esistenziale (solo una mente pigra può ridursi ad una lettura così rudimentale !), ma una ingegnosa provocazione della creazione all’azione, alla virtù dell’azione ! La lumaca sbava per costruirsi la casa !
Un pensiero non può mai definirsi pensante fino a quando non si costruisce con la forza e la fatica della lentezza. La lentezza indica lo spessore, la profondità, la densità, la serietà di un pensiero che scava, che affonda l’ago, il bisturi della curiosità, che viaggia nella verità.
La fretta è espressione di approssimazione: è una ladra delle grandi idee che hanno bisogno di gestazione per poter nascere nella loro dignitosa completezza.
A molti può apparire solo perdita tempo la sosta nella riflessione, il ritornare sulle cose. In verità, niente è banale perché tutto è accadimento, tutto ci coinvolge, ci riguarda e ci attira, ci fa flettere su di esso.
Arriverà la lumaca da qualche parte ? il punto non sta nel precisare il luogo d’arrivo, ma è il movimento interno. Durante la giornata possiamo percorrere migliaia di chilometri senza arrivare da nessuna parte, perché non è cambiato nulla dentro di noi, niente è accaduto, non c’è stato quel balzo in avanti nel profondo che ha acceso nel nostro essere una nuova scintilla di verità.
La fatica del cammino non si misura nemmeno con la quantità di azioni che compiamo quanto con la consapevolezza di ciò che stiamo facendo e di quello che vogliamo fare. Allora capiamo bene l’importanza di un pensare graduale, costante, dal passo dolce, senza scatti ma con slanci armoniosi.
La consapevolezza di ciò che stiamo facendo e di quello che vogliamo fare tante volte crea in noi dubbi, angosce, sofferenze di cui non riusciamo a darci una spiegazione. Forse ci stiamo chiedendo se è la direzione giusta, se la segnaletica che stiamo seguendo l’abbiamo piegata alla nostra visione interna semplicemente. Dentro di noi vive la nostra vita: è una città con le sue strade, i suoi percorsi.
L’intelligenza del vivere nasce da questa fiumana interna nella quale navighiamo continuamente, a volte a piene vele, talora naufragando in una dispersione dell’io che cerca disperatamente di ricomporre i frammenti sparsi.
Eppure, è una bella avventura ritrovarsi a volte su un transatlantico, altre volte su una zattera…!
L’importante è portarsi dietro sempre la propria casa, come fa la lumaca, ritornare a casa, rientrare in se stessi, riconoscersi, sentire la passione di quel guscio che si è indurito sbavando, E’ la bava che è secreta dalla fatica che sfida la resa, la rassegnazione. E’ il sudore dell’anima quando si raccoglie in se stessa. E’ la notte che veglia per aspettare l’alba. E’ il grido del silenzio che squarcia la parola taciuta, mai detta.
Dove stai andando lumaca?
“vado nella cascata di rugiada che mi irrora dentro
vado verso l’istante eterno che sto vivendo ora “
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