
CARMELA MANTEGNA

L’AUTOBIOGRAFIA :finestra spalancata sulla vita
Quando decidete di entrare in autobiografia, evitate di scrivere un testo argomentativo che vi obbliga a cercare tutte le prove a sostegno degli eventi(tesi) che raccontate.
Il testo autobiografico è, in un certo senso, atipico perché in esso confluiscono tutte le tipologie testuali.
Limitarsi all’argomentazione conduce alla scelta di ricordi che ne escludono altri.
Il testo autobiografico è, in un certo senso, atipico perché in esso confluiscono tutte le tipologie testuali.
Limitarsi all’argomentazione conduce alla scelta di ricordi che ne escludono altri.
Come counselor autobiografico ho letto un numero piuttosto consistente di autobiografie e mi sono accorta che c’è la tendenza a costruire racconti unidirezionali intorno al dolore, alla sofferenza, alla tristezza, alla sfiducia con richiami esclusivi ad esperienze, prove, periodi difficili della propria vita e con tagli netti di eventi gioiosi che, comunque, hanno costellato la nostra esistenza.
La vita umana è fatta di luci ed ombre, gioie e dolori.
Il racconto sincero della propria vita non è una dissertazione da discutere o da provare, ma, è un tempo di verità che non va sciupato dimenticando volutamente, cioè per scelta autolesiva, i momenti positivi.
Il rischio è di uscire dalla autobiografia con una lettura distorta dei propri vissuti e con una immagine di noi stessi come vittime degli eventi, i quali continuano a dettare legge su di noi ,ormai abituati a recitare un copione di comportamenti piuttosto che vivere la nostra vita nella ferialità fatta di cammini e di soste, di serenità e difficoltà, di gioie e di dolore: la vita, nient’altro che la vita!
La scelta della vita deve guidare la scrittura di sé. Rivisitare il passato è rivederlo con occhi più lucidi, con una consapevolezza maggiore, ma, poi bisogna lasciarlo andare.
Le ombre devono essere dissolte e noi dobbiamo uscirne fuori. Anche gli eventi più dolorosi vanno assunti nella loro autentica luce.
Il racconto sincero della propria vita non è una dissertazione da discutere o da provare, ma, è un tempo di verità che non va sciupato dimenticando volutamente, cioè per scelta autolesiva, i momenti positivi.
Il rischio è di uscire dalla autobiografia con una lettura distorta dei propri vissuti e con una immagine di noi stessi come vittime degli eventi, i quali continuano a dettare legge su di noi ,ormai abituati a recitare un copione di comportamenti piuttosto che vivere la nostra vita nella ferialità fatta di cammini e di soste, di serenità e difficoltà, di gioie e di dolore: la vita, nient’altro che la vita!
La scelta della vita deve guidare la scrittura di sé. Rivisitare il passato è rivederlo con occhi più lucidi, con una consapevolezza maggiore, ma, poi bisogna lasciarlo andare.
Le ombre devono essere dissolte e noi dobbiamo uscirne fuori. Anche gli eventi più dolorosi vanno assunti nella loro autentica luce.
Il dolore significa esperire la nostra umanità che impara a guardarsi e a conoscersi, ad aprirsi, a dialogare anche con la sofferenza stessa come spazio di crescita ed allargamento della coscienza, piuttosto che luogo di abbattimento e disperazione.
Il dolore non è l’ultima parola, ma è quella parola che può far intraprendere un nuovo cammino.
La scrittura autobiografica non è e non deve essere la ricerca di un campo semantico intorno alle esperienze che ci hanno maggiormente toccato in profondità senza,tuttavia, aprirci alla vita.
Non possiamo trasformare la scrittura di sé come una sorta di macchina fotografica che fissa l’obiettivo solo su un particolare della propria vita, allargando alla massima apertura lo zoom per evidenziare il più possibile quel frammento.
La scrittura autobiografica non è e non deve essere la ricerca di un campo semantico intorno alle esperienze che ci hanno maggiormente toccato in profondità senza,tuttavia, aprirci alla vita.
Non possiamo trasformare la scrittura di sé come una sorta di macchina fotografica che fissa l’obiettivo solo su un particolare della propria vita, allargando alla massima apertura lo zoom per evidenziare il più possibile quel frammento.
Non sto consigliando di edulcorare il testo autobiografico, ma di cambiare posizione, di spostare il focus da un campo ristretto allo spazio più ampio di tutta la propria vita, di affacciarsi su tutto il panorama della propria esistenza da una finestra spalancata piuttosto che da una finestra socchiusa.
Il cambiamento operato dalla scrittura di sé può avvenire in rapporto alla nostra disponibilità a trasformare le nostre posture più profonde.
Scrivere è intravedere nuove possibilità dietro un apparente fallimento.
La scrittura autobiografica diventa terapeutica solo se accettiamo di farci curare da tutte le sfumature semantiche che essa contiene.
La parola evoca emozioni profonde, ma costruisce anche sentimenti stabili.
La parola è azione come direbbe Sartre.
Scrivere la propria autobiografia non è un lavoro di uno specialista, ma è opera di chiunque ha scelto di dirsi la verità e la verità cerca da sola le parole più appropriate per raccontarsi e manifestarsi.
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