Un viaggio di ricerca con Saint-Exupéry
Mathias Jung


Della favola spaziale del piccolo principe è assodata la fortuna mondiale e la capacità di presa su intere generazioni in ogni parte del globo: è ascesa al cielo dei long seller; è stata rielaborata in forma di piece teatrale, spettacolo di marionette, balletto e musical di Broadway, di recente è diventata cartone animato tridimensionale. Indelebile è il fascino dell’invenzione che in parte coincide profeticamente con il destino tragico di Antoine de Saint-Exupéry [3], il poeta aviatore che la concepì. Mancava però una lettura della favola dal punto di vista della psicologia del profondo; Mathias Jung fa questa operazione di ‘ermeneutica psicoanalitica’, ma senza porre distanze, anzi calandosi lui stesso nella narrazione, ripercorre le stesse tappe del viaggio fatto dal piccolo principe, ritrova la stessa galleria di personaggi, si pone agli stessi crocicchi tra vita, morte, amicizia, amore. Il risultato è un breve trattato di psicologia intessuto di narrativa, supportato da una compagnia di filosofi e da altri riferimenti letterari e poetici. M. Jung ci tiene a dire che Il piccolo principe, seppur tanto celebrato e riconosciuto a livello mondiale, è tutt’altro che ‘un dolce soufflé letterario’. Se al teologo e psichiatra tedesco, Eugen Drewermann, è parso essere ‘un breviario della speranza’ e ‘un vademecum dell’amore’, all’autore pare essere soprattutto un itinerario, non nella mente di Dio ma dell’uomo, a cominciare dalle paure.


Nel deserto, il pilota del racconto incontra ‘una straordinaria personcina’, un bambino regale e melanconico che lo scruta con molta attenzione. È un alieno il bambino arrivato dall’asteroide B 612? Secondo l’interpretazione delle fiabe data dalla psicologia del profondo, è il suo alter ego, il bambino che giace in lui, non schiacciato dall’essere sociale e dalle censure. È il ‘diventa chi sei’ dell’indicazione nietzschiana. Il pilota è caduto dal cielo delle sue illusioni perché quella non era la sua vita vera; in sette giorni che trascorre nel deserto, (il tempo della creazione universale), guidato dal suo ‘bambino interiore’ cerca e trova la fonte da cui sgorga l’acqua della vita, va all’essenza. Saint-Exupéry, secondo M. Jung, è tornato alle sue origini, a pique la lune nel creare il suo principino e al se stesso dell’infanzia ha eretto un monumento. Voleva tornare all’incantesimo di un essere umano incorrotto, vivo, creativo; al bambino che è il nucleo centrale dell’individuo e dunque della civiltà umana; voleva offrire un modello di umanità da preservare oltre il tempo breve della vita individuale. Il bambino racconta all’aviatore di un fiore lasciato sul suo pianeta che accudiva con tanto amore, una rosa bella ma con quattro spine pungenti, tenuta sotto vetro. Facile per l’autore scorgere nella rosa che ha tracce di ipocondria e narcisismo isterico, l’alter ego di Consuelo, moglie di Saint Exupéry, con cui ebbe un rapporto coniugale burrascoso, costellato da infedeltà da parte di lui e incomprensioni reciproche. Il principino cerca chi gli disegni una pecora perché mangi i baobab che mettono in pericolo la rosa: di quanti baobab e forze dell’ostacolo è tramata la vita? Ha abbandonato la rosa che ama perché solo smettendo di esercitare il possesso su chi dichiariamo d’amare, possiamo esplorare i territori sconosciuti della nostra psiche; la separazione è necessaria per riconsiderare la sincerità degli affetti e trovare noi stessi. M. Jung osserva che nelle favole classiche gli eroi compiono il loro percorso di individuazione attraversando perigliose foreste e sottoponendosi a prove iniziatiche.


L’incontro con la volpe è una parabola sull’amicizia. L’animale chiede d’essere ‘addomesticato’, in principio il bambino non capisce, non ha esperienza. L’amicizia richiede d’essere ‘addomesticata’, di avviare un lungo processo di fiducia, di creare un legame, “di essere aperti all’altro e saper tacere”, di accoglierlo fino all’accettazione incondizionata. Anche l’amore è costruzione paziente, faticosa, pericolosa, obbliga a mettere a repentaglio la propria stessa vita. Non puoi costringere in una campana di vetro il tuo presunto amore, la rosa di superba bellezza: le spine trafiggono lo stesse. La scoperta di altre rose, sul pianeta terra, all’inizio provoca un disinganno nel piccolo principe. Ovunque ci sono rose, ognuno è sostituibile, nessuno ha un primato d’amore. ‘Tua’ è la rosa che scegli, curi, coltivi, a cui dedichi il tuo tempo. Non è la proiezione di un io debole a creare un vero legame. Nascono quelle che M. Jung chiama ‘unioni di emergenza’, fondate su bisogni regressivi. L’ultimo significativo incontro è con un venditore di pillole che calmano la sete, facendo risparmiare un sacco di tempo. Ma il principe fa al pilota, che non è riuscito a riparare l’aereo e ha terminato la scorta d’acqua, una proposta assurda e ingenua che solo un bambino può fare: “Anch’io ho sete… cerchiamo un pozzo… “. Con il suo bambino interiore in braccio, il pilota trova l’acqua nel deserto. Il poeta Hölderlin scrisse: “dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”. Chi mette in gioco l’identità di facciata, trova la fonte. L’ultima prova è la morte. E torna la paura, il sentimento dell’ineluttabile. Il pilota deve separarsi dal bambino divino che, a differenza di lui, è pronto al passaggio e lo consola. Compiuto l’itinerario psichico, “accettare la morte significa liberarsi”. Il pilota supera la prova della solitudine quando capisce che il bambino vive in lui, è nella sua interiorità. Il bambino anagrafico che è stato non c’è più, è morto; resta il “nostro peculiare universo spirituale infantile splendente e indistruttibile”.

Il piccolo principe in noi. Un viaggio di ricerca con Saint-Exupéry
Autore: Jung Mathias
Editore: Ma. Gi. (collana Lecturae)
Autore: Jung Mathias
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