domenica 13 maggio 2012

Riflessioni sulla Scuola di Raffaella Marchi

Raffaella Marchi
Counselor Relazionale Prepos


Il 24 settembre del 2011 presentavo la mia tesi intorno al tema della scuola. Per l’introduzione  ho ragionato intorno alle parole di Jacques Salomé e ne è uscito questa riflessione: la scuola che vorrei dovrebbe valorizzare davanti agli altri le qualità (rare e preziose) e non i punti deboli (numerosi e molteplici); si dovrebbe poter parlare e essere ascoltati. La scuola che vorrei rafforzerebbe l’autostima, il gusto del bello. Una scuola ideale trasmetterebbe non solo i saperi di base (leggere, scrivere, contare, esprimersi) e i saper fare indispensabili per sviluppare le risorse proprie ad ogni bambino(per permettergli di vivere in società e di occupare più tardi il posto di adulto in un mondo che cambia).Questo posto che non c’è dovrebbe trasmettere un saper essere (stare meglio con se stessi), un saper creare (valorizzando la creatività ), un saper divenire (preparando i ragazzi ad affrontare l’imprevedibile, i cambiamenti a venire ).
 Gli insegnanti  si preoccuperebbero di creare una relazione viva con ogni bambino, gettando le basi di una comunicazione non violenta, nella quale i rapporti di forza non  esisterebbero, così come i giudizi di valore, le squalifiche, le colpevolizzazioni, le collusioni tra la persona e il comportamento, in cui i rapporti dominanti-dominati non avrebbero più ragione di esistere !A due giorni dalla discussione della tesi avevo la fortuna di entrare  all’interno di una seconda media prima e una I media successivamente.E’ stato come drogarsi per la prima volta nella mia vita. Ogni volta che varcavo la soglia della classe tremavo, ma dopo pochi minuti nel cerchio sentivo scorrere nelle mie vene un’energia inaspettata, adrenalina, noradrenalina, dopamina, serotonina..tutto insieme in un mix esplosivo. Incontrare gli occhi di questi preadolescenti che come fiori sui rami si schiudono come se tu fossi un raggio di sole nel loro inverno non ha eguali. Entrare in contatto col loro umano, i loro vissuti, le loro speranze mi ha lasciato una impronta nell’anima. Ogni volta che a casa la sera, la notte, preparavo l’incontro successivo facevo scorrere nella mia mente uno ad uno i loro volti, ma soprattutto i loro non detti. Ho parlato spesso con loro all’interno della mia mente,  li ho cercati uno ad uno facendo parlare i loro gesti al posto delle loro parole, le loro smorfie mentre parlando in cerchio li provocavo. Li ho considerati uno ad uno come fossero figli miei, come se fossero fratelli, amici, colleghi. Questo ha dato i suoi frutti e ci ha fatto fiorire entrambi. Ho ricevuto biglietti infilati in tasca di nascosto, telefonate per avere consigli, un biglietto di ringraziamento pieno di farfalle colorate grazie al quale mi hanno visto crollare in lacrime di fronte a loro dicendo: ma allora anche i counselor crollano!!! E’ stata una immensa soddisfazione portarli ad un livello di coraggio tale che  hanno saputo chiedere spiegazioni di un dato comportamento che ritenevano ingiusto nei loro confronti ad un insegnante che con grande umiltà e professionalità ha risposto loro, è stato bello vedere che tutti insieme e in maniera assolutamente affettuosa e costruttiva abbiamo smascherato il lato presuntuoso e sbruffone di un loro compagno che in piedi in mezzo al cerchio ci ha detto con voce tremante: in questo momento mi sento piccolo!  E poi lo abbiamo tutti insieme “ricompattato” illustrandogli una ad una le sue belle qualità… Ieri sera, insieme ai miei colleghi, abbiamo incontrato i genitori di una classe per spiegare loro il lavoro fatto, erano entusiasti (anche se un paio di demotivatori c’erano…) e hanno fatto un sacco di domande, chiesto pareri, dicendoci quello che desideravamo sentirci dire: i ragazzi hanno avuto molti benefici in questo percorso e ci hanno ringraziato molto. Abbiamo fatto vedere un video realizzato con le foto fatte durante gli interventi a scuola e si sono commossi vedendo i volti sorridenti e affaticati dei loro figli e noi con loro, CONSAPEVOLI di aver portato una goccia al mare di questa società ammalata di mala-relazionalità.

Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. 
Da Lettera ai giudici DON LORENZO  MILANI


Report attività educazione alla relazionalità

Febbraio 12

La classe  è molto effervescente,
è composta da molti maschi e meno femmine .


Iniziamo con un giro di nomi e relativi aggettivi che li  caratterizzano.  Ciò che emerge  è la sensazione che tutto sia sempre preso a ridere, un po’ per difesa, un po’ per superficialità. Il rimprovero fa poco effetto e non sulle persone a cui sarebbe indirizzato.Piano piano si sciolgono e i più sballoni e ruminanti iniziano a parlare ad esporsi. Chiaramente il minuto di silenzio è difficile.

Spiego le emozioni di base chiedendo per alzata di mano chi le avesse provate e per ognuna sottolineo i lati positivi e negativi. La sensazione è che ci sia bisogno di approfondire  la differenza fra scherzo e SENTIMENTICIDIO e le tecniche di difesa.






Hanno bisogno di molta gratificazione così colgo la palla al balzo e li mando uno a uno al centro del cerchio a dire a voce alta (quasi urlata).
 IO SONO STATO BRAVO QUANDO…. IO SONO CAPACE DI…. E gli chiedo come ti senti adesso?Scatta l’applauso e se lo godono. Per altri più timidi faccio il contrario, chiedo ai compagni di andare al centro e ringraziare il singolo compagno dei suoi pregi. Si alzano in molti, e alcuni sembrano davvero stupiti, piacevolmente.

La classe ha bisogno di sentirsi veramente classe di avere una identità più precisa. Parliamo di molte cose, i ragazzi  intervengono molto e parliamo degli attentati attraverso loro esempi pratici, cerco di farli ragionare su come difendersi usando spesso la frase :“COME TI SEI SENTITO IN QUEL MOMENTO? COSA POTEVI FARE DI DIVERSO? “

Decidiamo di usare tecniche di counseling oltre al dialogo, così affrontiamo temi delicati come l’aspetto fisico e le proprie capacità personali. Facciamo loro scoprire che chi si sente in difetto come altezza e prestanza fisica è al pari di altri suoi compagni mettendoli semplicemente in scala di altezza. Scoprono che non ci sono grandi differenze. Questo li porta a riflettere e il mio silenzio sottolinea il momento mentre loro si osservano. Spingo molto sul discorso della derisione e sul come ci si sente nei panni di... Mi lancio chiedendo loro se sapessero l’altezza fisica di A. Einstein e bleffando alla grande sparo una altezza ridicola, e così per altri… poi gratifico X per il coraggio che ha ad esporsi e altre persone per le loro qualità intellettive e di cuore sottolineando come esse siano slegate dalle caratteristiche fisiche.Uso la narratività facendo loro esempi di conoscenti e soprattutto di me quando ero 25 anni fa nella stessa scuola e mi chiamavano giraffa o Olivia.

Sdrammatizzo dicendo che tanto tutto ha una fine!
 


 

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