giovedì 26 gennaio 2012

Un dito puntato contro gli adulti…


 
    Daniela Troiani


Simona mi ha chiesto di far pubblicare questo suo scritto.
Simona è il nome che l'Autrice  ha dato a se stessa che, in percorso di Counseling, ha incontrato la bambina che fu, sola, invisibile e riconosciuta nel suo estremo bisogno di affetto, da un orco.
Simona, nel suo percorso di miglioramento, considera essenziale divulgare, far sapere, confrontarsi.
Presento il suo scritto nella forma integrale, perché ogni virgola è una sfumatura della sua consapevolezza e racconta la storia di una prevenzione che non c'é stata e di un sostegno che solo ora Simona, ormai adulta, moglie e madre, riesce a chiedere.
Questo scritto è un dito puntato contro gli adulti  troppo presi da se stessi, dalle preoccupazioni, dal quotidiano, .
Questo scritto è un modo di abbracciare in modo solidale e affettivo Simona bambina e tutti i bambini che hanno incontrato il mostro, invece di trovare amore.


Daniela Troiani


Un dito puntato contro gli adulti…
 

"E' una bambina, minuta, con la frangetta, le efelidi, è timida e gliene fanno un cruccio.
La sto guardando mentre accovacciata sulla battigia raccoglie le conchiglie, le guarda, le rigira fra le dita e pensa “ questa non mi piace, la scarto..” ma poi non lo fa, teme che la conchiglia ci rimanga male.
 C’è un rapporto strano fra me e lei, riesco a sentire i suoi pensieri, un momento ascolta il mare, quel mare che d’inverno ha tutto un altro odore. Riempie i polmoni e le permette finalmente di respirare a fondo, di lenire il dolore che sente in mezzo al suo piccolo torace.
Un momento dopo sgrana i suoi occhi marroni e si guarda intorno, cerca gli occhi dei passanti col terrore in gola che vedano i suoi strati interni.
 Quegli strati che la compongono, gli uni sovrapposti agli altri composti di sostanze fluttuanti, in equilibrio precario. Il cuore batte all’impazzata quando il pensiero che qualcuno veda lo strato scuro, rancido che porta con sé e la disprezzi.
Si alza di scatto, le cadono le conchiglie dalle mani, allora anch’io mi alzo dallo scoglio da cui a pochi metri la osservavo e le vado incontro, ma basta che io distolga lo sguardo un attimo ed è sparita.
Adesso è il mio di cuore che batte in modo frenetico, mi giro , a destra, a sinistra, mi accuccio per vedere se è vicino alle cabine, gli occhi mi si riempiono di lacrime, l’ho persa. Non riesco più a vedere nulla, mi spazzo via il sapore salato dal viso coi lembi del giubbotto e mi sento persa, Simona non c’è più. Quel gattino di sette anni è chissà dove da sola e io non la posso proteggere.

 Mamma è già al lavoro, qualche ora senza musi e rimproveri, nonna va al mercato, nonno è nel campo, Simona attraversa il giardino e va di la, nella casa vicina dove le hanno detto di andare.
Il rumore della televisione, come sempre aleggia nella casa, le si chiude la gola, ma entra, gira  a destra e poi si mette sull’uscio della porta, quell’omone si gira, la fissa con gli occhioni azzurri e il suo faccione con un sorriso che solo dopo 30 anni Simona riconoscerà come un ghigno soddisfatto. Scosta la sedia e la fa sedere in braccio. In fondo le dice tu esisti.

 “Simona dove sei?? Ti prego rispondimi! Piccola dimmi dove sei!”
Spunta un  piedino racchiuso nei mocassini blu tanto odiati da dietro la staccionata, mi catapulto, la prendo in braccio, ride fa un sacco di versi e la guardo basita… Ma mentre ride osservo i suoi occhi e sono come sbarrati, assenti. E’ talmente magra che le costole sembrano uno xilofono e il suo cuore spinge contro il mio petto ritmicamente con una intensità frenetica. Trema.
“Hai freddo Simo?” “No, cioè… si, dai corriamo, lontano”.
E’ strana questa bambina, un momento ride, un momento è terrorizzata e adesso vuole correre.
 Poco dopo si isola e si rimette in ginocchio a raccogliere le conchiglie e io sento i suoi pensieri, mentre si fissa a guardare la spuma del mare invernale grigio e odoroso.
“Perché mi guardava così? Perché quell’uomo mi fissava, avrà capito? Si avrà capito che sono una bambina sporca…l’ho visto se ne è accorto..”
Mi alzo  ma lei già è balzata in piedi e comincia a correre, sbatte contro i passanti, alcuni le urlano che è una maleducata e prepotente, allora lei arrossisce, le sue guance sembrano esplodere ma corre, corre, sente la gola che si chiude, tenta di respirare più profondo ma è tardi, è arrivato il macigno, si è piazzato sul suo sterno, e pianta i suoi spigoli aguzzi sul cuore, nella trachea ed è incredibilmente pesante. Allora con gli occhi della mia mente la innalzo dal bagnasciuga come se fosse priva di peso e la faccio volare via, lontano dal peso del suo corpo.
Sono sfinita, il dolore che raccolgo sulle spalle, nelle vene, nella pancia, è enorme, ma la piccola è vuota ora e vola sopra le onde del mare.

Ho gli occhi chiusi e stringo la mano di Beatrice, l’ho detto, le ho raccontato di Simona dopo trenta lunghi anni. Ho aperto la ferita purulenta e ora il pus sgorga a fiotti mescolato al sangue, alla puzza di carne decomposta, ai lembi di carne consumati. Mi sembra di implodere e d esplodere ma le stringo forte la mano, temo di farle male e glielo dico, ma lei mi rassicura. Vorrei vomitare, vorrei urlare, vorrei strapparmi i capelli, vorrei scomparire, dissolvermi, polverizzarmi, ma come al solito mi limito e ingoio non c’è sufficiente corrispondenza fra quello che sento e quello che esterno.
Dentro c’è il maremoto, la bomba nucleare, la lavatrice in centrifuga, la fornace, il girotondo. La testa pulsa, il macigno appuntito e spigoloso è risalito dalla gola, come una spiga di grano nel maglione di lana, si piazza nel cervello, ma è talmente grosso che sento lo scricchiolio della linea di giuntura degli emisferi cranici che preme per aprire. Impazzirò?
La voce di Beatrice mi fa uscire dal mio corpo, e mi guida al ridimensionamento di quella pietra grigia scuro. In un tempo che non so definire la sua voce mi calma e mi fa vedere che posso rimpicciolire la pietra, levigarla, renderla di dimensioni accettabili.
Cammino pesantemente, ma piano, le gambe sono pesanti, la testa è dolorante, fischiano le orecchie, ma cammino, chiedo la direzione del mare e mi affido al mio naso. L’odore delle onde che schiumano mi attira. Allungo il passo, arrivo. Sulla destra il pontile, mi fa paura , le onde sbattono contro la palafitta e mi in quieto, l’acqua del mare sembra essere come braccia malefiche che scuotono. Scelgo la sabbia, mi avvio verso la riva. Mi siedo su un masso e finalmente riesco a urlare, chiudo il piumino sulla bocca e mischio la saliva con le lacrime, il muco, il sudore. E’devastante. Sento il suo respiro schifoso, minato dall’asma e vedo con gli occhi di Simona bambina, che guardano la casa di fronte dalla finestra, la sua. Nessuno si affaccia a vedere dov’è…
Affondo le mani nella sabbia, c’è pieno di conchiglie e le stringo così forte che rischio di spezzarle e tagliarmi. Apro la bocca, mi costringo a respirare a fondo l’aria salmastra e penso alla pietra fluttuante nella mia testa che ha dimensioni ridotte rispetto a prima e poi fluttua, si gira…mi calmo. Resto li ipnotizzata dalle onde e cerco una pietra piccola, nera, leggera, la metto in tasca. E’il mio obbiettivo per i prossimi mesi, ne raccolgo un’altra , la darò a Beatrice perchè non si dimentichi che le ho parlato, che gliel’ho detto.

 Nera, con una venatura bianca che la attraversa, fluttua nell’aria come un magnete. La pietra ha cambiato forma, ma rimane lì, nel cervello.
Dentro la testa un silenzio irreale, come dopo una tragedia, come dopo una alluvione che ha spazzato via  un paese intero e riesci a sentire il rumore dei passi di un gatto.
Ora la testa e il corpo non si nutrono dei rumori fracassoni che da sempre abitano li e che nascondono il lamento stridulo e soffocato di tutte quelle bambine che sono passate da quella strada e che librano nel vento(perché lo porti via) il lamento doloroso del senso di sporco che non riescono a lavare via.

Qualcuno ogni tanto nelle notti di vento lo sente questo straziante suono, un suono che attraversa la schiena e fa rizzare i capelli, che inquieta perché non se ne capisce la natura. Ma alza il volume della tv.

La colpa, il senso di colpa, l’inadeguatezza, il senso di inferiorità, la ricerca spasmodica di essere riconosciuta, accettata, la vergogna di essere sopravissuta ad una tale esperienza sono ora i serpenti usciti dai vasi di Pandora con cui Simona deve fare i conti.
Ora che il coperchio non c’è più esce un fumo denso e puzzolente che porta con sé le domande che il solo raziocinio non può spiegare: perché quella bambina ha continuato ad andare là? Perché non si è ribellata quando la madre le diceva di passare il pomeriggio da quei nonni acquisiti? Perché per tanti lunghi anni ha pensato che quegli episodi non avessero condizionato la sua vita? Perché si è fatta tradire con tanta facilità da madre, nonna e nonna di scelta? Nessuno ha mai sospettato? E se qualcuno sospettava perché nessuno ha fatto nulla? Se lo meritava?

Il cammino per chiudere quella pietra piccola e nera come la pece sarà lungo e fatto di curve tortuose, ma la CONSAPEVOLEZZA che la strada scelta è quella giusta, la CONSAPEVOLEZZA che Simona troverà le risposte alle punte del suo copione c’è già. E’un bacillo, un germe, un virus che è entrato e che lavorerà per sostituire un virus vecchio e schifoso.
Come un rimedio omeopatico il dolore curerà il dolore, la consapevolezza porterà ad una nuova consapevolezza, Simona avrà vita nuova e sarà la madre di quella bambina minuta, con la frangetta, le efelidi, timida, la abbraccerà ancor prima che lei glielo  chieda ancor prima che lei attraversi il giardino col cuore in gola.

«Per arrivare all'alba, non c'è altra via che la notte»
(K. Gibran)



Parte II

Simona ha vomitato, la prendo  in braccio, mi faccio coraggio perché da sempre il vomito non lo so gestire.
Mio Dio com’è spaventata! Cerco i suoi occhi, li aggancio “Hey tutto a posto! E che sarà mai!! Anche a me capita!!” Le sorrido e lei , non senza guardarmi con sospetto; accenna ad un sorriso solo con la parte  destra del volto. Ma è un attimo, ora già sorride con tutto il volto e poi diventa rossa e affonda il viso sul mio collo fra i capelli. Io le faccio solletico e ride a crepapelle, si divincola sino a quando con le lacrime agli occhi per il riso  si ferma e chiede una tregua.
La osservo e il suo viso intero chiede solo una cosa: abbracciami.
Lo faccio, delicatamente, la prendo sulle ginocchia e la avvolgo, le accarezzo i capelli sottili, lentamente e la sento sciogliersi come burro fra le mie dita. La cullo in maniera impercettibile e sento le sue lacrime scendere, ma non le dico nulla, se non: piangi bimba, piangi quanto vuoi.

Tante altre volte abbraccerò Simona, piccola bambina sempre sorridente, ed è bello abbracciarla, perché  tutto ad un tratto, da individuo plasmato sul tuo corpo si alza di scatto e si spazza il naso col polsino e prende a raccontarti una delle sue cose, con talmente  tanto entusiasmo che non sembra possibile. Ma io che ho imparato ad amare quella bambina scricciolo, lo vedo, vedo la sua piccola mente che, come un pozzo troppo piccolo, arriva a saturazione di immagini, ricordi, suoni, odori, in fretta e come se avesse una valvola di sicurezza STACCA, CHIUDE,  NEGA, SI SCINDE, PROIETTA. E io glielo lascio fare, Simona segue i suoi tempi, e io i suoi.

Gioca con la sabbia sul bagnasciuga (le piace questo posto, anche da grande spesso quando nessuno sa dov’è viene qui, a 10 km da casa c’è  questo posto con odori magici che la rigenera) e io la aiuto a raccogliere i vetrini colorati, sorride e tutto ad un tratto mi dice “Sai a volte sento il suono del fischio dell’asma.. e l’odore del sudore che solo i vecchi hanno..” Rimangio impietrita, ma mica  lo faccio trasparire… Mi siedo, accanto a lei, le avvolgo la spalla col mio braccio, lei continua a scavare ma presta attenzione  con la coda dell’occhio a tutto ciò che faccio, faccio un respiro profondo, cerco di condividere il ritmo lento del mio respiro con il suo e mi accorgo che funziona, scava più lentamente  e poi si ferma.
“Che bello il suono della risacca.. senti com’è piccolo, sembrano piccole manine che battono dopo un concerto dei pesci!” Lei ride e mi dice che scema!!  “No, no altro che scema, io li conosco i pesci concertini cantano benissimo, cantano solo all’alba quando in giro non c’è nessuno, lo fanno per consolare le anime tristi, per renderle allegre e la schiuma del mare batte le mani” Mi guarda dubbiosa, col viso a tre quarti  in silenzio aspettando la mia mossa successiva.
“Simona” le dico col sorriso sul volto, “ognuno di noi può costruire il mondo che vuole, fatto di gnomi neri o farfalle colorate, e questi gnomi neri possono trasformarsi nei custodi delle delicate farfalle, così come le farfalle leggere e delicate possono diventare mostri inquietanti, tu hai la chiave, io ora sono qui e ti affianco, poi andrò via ma rimarrò per sempre dentro di te”. Mi si getta fra le braccia e per la prima volta mi sento io consolata. E’ bellissimo.

«Ciò che il bruco chiama "fine del mondo", per il resto del mondo è una bellissima farfalla .»

(L. Tze)"




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