mercoledì 5 giugno 2013

COUNSELING NARRATIVO di Rollando Baria

 
Rollando Baria

Montalbano e l’educazione sentimentale

Erano le sette del matino. Scinnì adascio dal letto, si chiuse in bagno. Come sempre faceva, per prima cosa si taliò allo specchio e storcì la bocca. La sua faccia non gli piaceva, e allora che la taliava a fare? Sentì un grido acutissimo di Livia, si precipitò, raprì la porta, Livia era nella càmmara da pranzo, il divano era vacante.«È fuggito!» disse tremante. Con un salto il commissario fu sulla verandina. E lo vide, un puntolino a ripa dì mare che si dirigeva verso Vigàta. In mutande com’era, si lanciò all’inseguimento. François non correva, camminava deciso. Quando sentì alle sue spalle i passi di qualcuno appresso a lui, si fermò senza manco voltarsi. Montalbano, col fiato grosso, gli si accoccolò davanti, ma non gli spiò niente. Il picciliddro non piangeva, gli occhi erano fermi, taliavano al di là di Montalbano. «Je veux maman» disse. Vide arrivare Livia di corsa, s’era infilata una sua camicia, la fermò con un gesto, le fece capire di tornare a casa. Livia obbedi. Il commissario pigliò il picciliddro per mano e principiarono a caminare a lento a lento. Per un quarto d’ora non si dissero una parola. Arrivati a una barca tirata a sicco, Montalbano s’assittò sulla rena, François gli si mise allato e il commissario gli passò un braccio attorno alle spalle. «Iu persi a me matri ch’era macari cchiù nicu di tia» esordì. E iniziarono a parlare, il commissario in siciliano e François in arabo, capendosi perfettamente. Gli confidò cose che mai aveva detto a nessuno, manco a Livia. Il pianto sconsolato di certe notti, con la testa sotto il cuscino perché suo padre non lo sentisse; la disperazione mattutina quando sapeva che non c’era sua madre in cucina a preparargli la colazione o, qualche anno dopo, la merendina per la scuola. Ed è una mancanza che non viene mai più colmata, te la porti appresso fino in punto di morte. Il bambino gli spiò se lui aveva il potere di far tornare sua madre. No, rispose Montalbano, quel potere non l’aveva nessuno. Doveva rassegnarsi. Ma tu avevi tuo padre, osservò François che era intelligente davvero e non per vanto di Livia. Già, avevo mio padre. E allora, spiò il picciliddro, lui era inevitabilmente destinato ad andare a finire in uno di quei posti dove mettono i bambini che non hanno né padre né madre? «Questo no. Te lo prometto» disse il commissario. E gli porse la mano. François gliela strinse, talìandolo negli occhi.
 
Questo brano è tratto dal libro “Il ladro di merendine” di Andrea Camilleri (1996, Sellerio Editore).
Non so se Camilleri conosca il counseling. Dai suoi libri, si capisce, a mio parere, che conosce bene la vita, che ama descrivere l’umanità in modo mai banale e superficiale, addentrandosi, in un modo tutto suo, mescolando ironia, cinismo, affetto, nel vissuto delle persone.
Premetto di essere un lettore/ammiratore delle indagini del Commissario Montalbano. Quello che mi ha colpito in questa pagina è però l’uomo Salvo, la relazione che Salvo instaura con il piccolo François.
Premetto anche che io (“di pirsona pirsonalmente”, come direbbe Catarella) mi trovo in una fase un po’ particolare, di faticosa crescita o meglio di ricerca confusa ma gioiosa di crescita. Un po’ come Salvo che, in questa indagine, si trova ad affrontare temi personali importanti: la decisione (o necessità) di crescere, la malattia e poi la morte del padre, l’aspirazione ad essere lui stesso padre.
Tutto questa premessa per inquadrare al meglio il discorso e per far capire perché, in una sorta di flusso emozionale che mi ha coinvolto o meglio avvolto, mi ha agganciato in un modo così forte l’episodio sopra riportato.
Vorrei quindi avanzare alcune riflessioni per comprendere se, anche al di fuori di quella specie di bozzolo che ha avviluppato le mie sensazioni e in cui la lettura e il processo di identificazione hanno creato un continuum, un legame inscindibile con i miei ragionamenti, insomma, in sintesi, vorrei sapere se, al di là di tutto quello che succedeva dentro di me, le osservazioni che vado a fare possano avere un riscontro oggettivo e possano essere condivise.
Se ci concentriamo sulla relazione Livia-Salvo-François, credo che, in poche righe, Camilleri ci abbia dato una lezione di counseling o di vita. In modo semplice e netto ci fornisce un modello educativo e sentimentale pulito e di alto valore. Sinteticamente, con immagini autentiche e profondamente umane (la capacità di arrivare con purezza alle radici del vissuto umano, senza eccessi di sdolcinati e ridondanti sentimentalismi), tocca e illumina argomenti che potrebbero essere oggetto di lezioni di counseling relazionale o di educazione sentimentale.
§           L’importanza dei ruoli. Ci sono azioni che può fare meglio una figura materna o chi ne fa le veci (Livia) come coccolare, abbracciare, nutrire. Ci sono azioni che può fare meglio un uomo, come affrontare il tema della morte con un bambino, dare notizie tragiche ad un bambino, fare i conti con la dura realtà. Il rispetto dei ruoli. L’intelligenza di rispettare questi ruoli. Basta un gesto di Salvo e Livia capisce, perché capisce che è il momento di mettere da parte il suo slancio spontaneo di ansia protettiva (e forse anche proiettiva) verso il bambino, per il bene del bambino stesso.
§           L’empatia e la narratività. Il vissuto di Salvo. Montalbano racconta al piccolo cose che mai aveva detto a nessuno. In pochi minuti, le vite di Salvo e François entrano in contatto e ognuno coglie il vissuto altrui e lo capiamo, l’avvertiamo benissimo, gustandoci le parole di Camilleri. Entrano così in sintonia che, pur parlando uno in arabo e l’altro in dialetto siciliano, si capiscono benissimo.
§           E ancora la prossemica e la capacità di saper creare una bolla relazionale, rispettando gli spazi e i tempi. Salvo rispetta il dolore e la rabbia di François, cammina un quarto d’ora accanto a lui, in silenzio, tenendolo per mano. Poi si siede sulla spiaggia al suo fianco, appoggiando un braccio sulle sue spalle. L’umiltà di esserci, in silenzio, pronto ad ascoltare, ma anche pronto a sostenerti con forza e fermezza. Delicatezza + discrezione + virilità.
Nel rapporto Salvo/François vedo infatti una lealtà e una virilità tutta maschile e se si considera che stiamo parlando del cinico Commissario Montalbano e che lui ci mostra come si può far capire a un piccolo uomo (anagraficamente parlando) di essere un grande uomo senza ricorrere a sparatorie, violenze, scene splatter, ma semplicemente attraverso l’umanità, attraverso il proprio vissuto, attraverso il fare i conti con la realtà, attraverso il superamento del proprio egoismo per aiutare, sostenere, amare un’altra persona (in questo caso un bambino tunisino diventato orfano), beh, se si tiene conto di tutto questo, non possiamo non riconoscere il valore umano ed educativo di queste pagine dello scrittore siciliano.


Con affetto, sempre positivamente
Rollando Baria

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