AUTOBIOGRAFIA DI UN MOMENTO, DA UN RICORDO
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UN MOMENTO NARRATO DA AUTOBIOGRAFIA
Natalia
Andavo ad un Convegno e il mio occhio si posò sul cartello della stazione nella quale si stava fermando il treno... “Orvieto”.
Il mio occhio distratto si fece attento, con l’espressione pensierosa: avevo spesso sentito nominare quel luogo nei racconti di mio padre perché aveva prestato lì il servizio militare e poi a Roma.
Mio padre era un gran bell’uomo, con un bel portamento e finì nei granatieri di Sardegna. Fu sempre motivo d’orgoglio per lui e ne parlava molto volentieri.
Il mio fu un ricordo piuttosto rapido e poi composito, come un fare il punto di cosa rievocava quel cartello.
Al ritorno il treno fece una pausa, più lunga dell’andata, ad Orvieto e ripresi quell’ondata di ricordi del giorno precedente, come se fossero rimasti lì ad aspettarmi, come fossero rimasti sospesi a mezz’aria nell’attesa che riprendessi in mano i fili di quella trama.
Fu come entrare in contatto con quel giovane uomo di allora che non si era mai allontanato dal suo paesino nella piccola valle, che si era sempre spostato a piedi o in bicicletta e che per la prima volta saliva sul treno che vedeva passare quando coltivava col padre i campi sul fiume e che vedeva anche da alcuni luoghi del paesino.
Ma poi per lui era stata una bella esperienza che gli aveva dato un riconoscimento che nel suo chiuso e affollato ambiente non aveva avuto. Lì era lui, solo lui, non c’erano fratelli, cugini: c’erano solo tante persone nuove che si confrontavano solo con lui e non con un nutrito gruppo. Il gioco era tutto suo. E ne era uscito vincente, con amicizie nuove e riconoscimento. Era stato visto senza nessuno che facesse ombra e per un buono come era lui, a volte frainteso nella sua bontà, è tanto davvero. E quel passato in cui io non c’ero, s’intrecciava strettamente con quel presente in cui non c’era lui, anzi non ci sarebbe più stato neanche al mio ritorno a casa.
Ma chissà cosa aveva provato quel giovane uomo al momento del distacco per un salto nel vuoto senza sapere cosa l’aspettava! Chissà cosa stava provando al momento del distacco dalla madre verso la quale era così protettivo con quel senso del dovere di fratello maggiore così spiccato! Aveva provato paura ed ansia? Sofferenza? Rabbia per un allontanamento non gradito? Oppure un senso di libertà, un’euforia per l’andare? Piacere e affetto per quell’avventura così nuova e diversa? Una calma rassegnata dipinta da “tanto mi doveva toccare” per ogni dove e ogni quando?
Cercavo di immaginarmi quale espressione avessero gli occhi di mio padre alla partenza, durante il viaggio. Chissà come si era sentito sperduto all’arrivo! Chissà come guardava da tutte le parti per capire dove andare! Oppure aveva già conosciuto altri giovani come lui sul treno e si erano creati i primi contatti e nell’aria si erano sentiti diversi “Anch’io vado lì!”?
Mio padre era molto gentile, rispettoso e socievole per cui senz’altro aveva già trovato qualche compagno d’avventura. Era impossibile non accorgersi che era una bravissima persona! Ma con nel cuore e negli occhi quel mio padre ragazzo mi fermai e ritornai a guardare il panorama dal finestrino. Per i periodi seguenti non avevo dubbi perché lui raccontava sempre con piacere la sua vita di quel periodo, con un senso di vittoria e con una luce di gioia molto particolare negli occhi come se fosse durato troppo poco e fosse rimasto nel suo cuore come un sogno breve ma bellissimo. Un bel sogno che l’aveva visto protagonista e libero.
A mio padre avrebbe fatto piacere saper che io passando da quella stazione mi ricordassi di lui e di quella parte della sua vita in cui ancora non c’ero.
E gli avrebbe fatto piacere che mi interrogassi con sollecitudine sulle sue emozioni.
Gli avrebbe fatto piacere sapere che cercavo di sentire cosa poteva aver provato e si sarebbe sentito gratificato da quell’attenzione sottile e profonda.
Ma io so che non è vano perché il nostro colloquio va oltre e continua privo di interferenze e contaminazioni.
Mai stata tanto sua figlia come da quando non c’è più.
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