venerdì 7 settembre 2012

“Il maschile e il femminile nel rapporto con gli altri, con il mondo e con il sé ” di Daniela Troiani

D.ssa Daniela Troiani
Psicologa e Counselor
Prepos


Progetto “Camminando Insieme”
“Il maschile e il femminile nel rapporto con gli altri, con il mondo e con il sé ” di Daniela TroianiRoma, marzo 2012.

di Daniela Troiani

Gli studi scientifici hanno dimostrato che le scimmie e gli esseri umani hanno in comune il 98,4% del patrimonio genetico. Hanno dimostrato, altresì, che tra donne e uomini il patrimonio genetico in comune è solo il 96%.
Ovvero l’uomo è più simile alla scimmia maschio di quanto non sia simile alla donna e altrettanto dicasi per la donna, ben più simile alla scimmia femmina, che all’uomo.
Dal punto di vista puramente istintuale attrarre un partner e procreare è il primo compito esistenziale degli animali, ma anche degli esseri umani, che, in base all’identità di genere attiverà comportamenti e strategie differenti per realizzarlo.
 Sembra opportuno spiegare la differenza tra l’identità di genere e l’identità sessuale.
L’identità di genere consente all’individuo di riconoscersi e conformarsi agli atteggiamenti, desideri, passioni solitamente preferiti da persone di un certo sesso.
L’identità sessuale contraddistingue, invece, la scelta sessuale, il gusto sessuale.
Da ciò consegue che una persona può avere un’identità di genere maschile ( appassionato di calcio, del podismo, dei film d’azione, ecc…) e un’identità sessuale femminile (attrazione per uomini).
Ciò premesso, si può dire che il comportamento maschile e femminile per attrarre un partner e procreare, oltre a dipendere da variabili personali legate alle caratteristiche di personalità e alle vicende biografiche, è condizionato anche da peculiarità legate all’identità di genere. Scopo del maschio è spargere il più possibile il suo seme. Scopo della femmina partorire ed allevare i figli. Per questo le femmine cercano maschi anche economicamente rassicuranti. Nel femminile c’è la tendenza a mettere alla prova il partner pretendendo da lui tutto e il contrario di tutto, per valutarne la costanza, la fedeltà, la devozione, considerate caratteristiche favorevoli per garantirsi la stabilità relazionale indispensabile all’allevamento della prole.
Per questa ragione la prestanza fisica e personologica del maschio non sono criteri assoluti di scelta da parte del femminile, che, in genere, opta per colui che mette in atto strategie satellite, quali mostrarsi come un buon amico o come un individuo non pericoloso. Peraltro, la presunta tendenza femminile alla monogamia, più che un carattere genetico, sembrerebbe un acquisito culturale.
Infatti, l’infedeltà maschile e femminile sembrerebbe ottimizzare il potenziale della fertilità. Peraltro, mentre l’infedeltà maschile viene tollerata come una connotazione istintuale ineliminabile, quella femminile è stata attribuita al desiderio di riconoscimento narcisistico e alla ricerca di emozioni diverse.
Pur tuttavia sembrerebbe che le radici dell’infedeltà siano in entrambi i generi legate al miglioramento del potenziale di fertilità. Poiché le ricerche hanno rilevato che la produzione di spermatozoi è di qualità e quantità maggiore quando un maschio trascorre solo il 5% del tempo con la femmina, ciò presuppone che sia lui che lei trascorrano il resto del loro tempo sessuale con altri partner.
D’altronde, che la promiscuità dell’essere umano affondi le radici nella notte dei tempi è dimostrato anche dal fatto che la grandezza dei testicoli dell’uomo rispetto al peso corporeo è maggiore che negli altri animali. Secondo le leggi evoluzionistiche la grandezza di un organo ne indica l’utilità per la salvaguardia della specie.
In più, che l’infedeltà femminile fosse una pratica diffusa sembrerebbe esser dimostrato dal fatto che nelle culture arcaiche (e non troppo) ci fosse la consuetudine di controllare la verginità e di mutilare i genitali femminili.
In tal senso, si può dire che l’uomo antico praticasse una “gelosia preventiva”, come la chiama Umberto Galimberti nel suo libro “Le cose dell’amore”
Lo stesso Autore riporta una citazione della psicologa Valentina D’Urso riguardo la gelosia: “Nella gelosia la percezione si accentua e si fa minuziosa nei riguardi di tutto ciò che direttamente o indirettamente riguarda la persona amata e i rivali, sia che essi siano reali, potenziali o immaginari. Inoltre, aumentano in modo abnorme e selettivo i processi di attenzione, mentre la memoria diventa fortemente selettiva e concentrata su piccoli eventi normalmente trascurati…Il pensiero subisce un vero e proprio stravolgimento nel suo vorticare intorno all’idea del tradimento fino a sfiorare le soglie del delirio paranoide, dove gli eventi più insignificanti vengono assunti come prove irrefutabili che la propria gelosia è assolutamente giustificata”
Chi è geloso è solito confondere l’amore con il bisogno di possesso, che satura una carenza e che non riesce ad esprimersi se non come amore dipendente, regressivo. Qui l’amore fraintende se stesso, non conoscendo più il dono, ma solo la saturazione del proprio vuoto. Gli uomini sono più inclini delle donne ad assumere iniziative aperte in caso di tradimento, cercano cioè di discutere il problema, di affrontare il rivale o aggredire la compagna. Al contrario le donne sembrano esternalizzare meno la gelosia e i comportamenti connessi soffrendo però maggiormente di intensi sentimenti negativi, quali disperazione, depressione e malattie psicosomatiche.
Diciamo che nel maschile la partner diviene più facilmente un possesso esclusivo, mentre per le donne è più istintuale tollerare la lontananza.
Oltre a ciò, come vedremo, il mondo femminile è maggiormente popolato di interessi e diverse figure di riferimento, mentre l’uomo poggia prevalentemente la sua identità sulla madre e sulla propria compagna. Per questa ragione l’uomo viene destabilizzato più radicalmente dal non essere accolto in casa. Dalla notte dei tempi, infatti, l’uomo cacciatore travagliava nei pericoli del mondo per poi tornare al calore domestico, dove l’aspettava la sua donna per curargli le ferite del corpo e dell’anima.
Diversamente, l’invidia sarebbe un sentimento su cui maggiormente è imperniato e intessuto il femminile a causa della rivalità con la madre.Freud ha sostenuto per primo la componente femminile dell’invidia. Molto spesso la persona che invidia, desidera una perfezione che nella realtà dei fatti non esiste. Proprio perché non ha ciò che vorrebbe, crede che quello che non ha sia ciò che di più perfetto si possa avere. Infatti, un conto è un desiderio, un conto è la quotidianità di una relazione. Il rischio nell’invidia è quello dell’idealizzazione di una relazione che non può essere vissuta e proprio perché non può essere vissuta, allora è idealizzata come perfetta. A ciò consegue un perenne vissuto di insoddisfazione di quello che si ha e una costante rincorsa (fuga dei pensieri) verso ciò che si vorrebbe. L’invidia è più pericolosa nella donna poiché fomenta le capacità strategiche del femminile, che ordisce una trama per ottenere ciò che vuole. La strategia femminile sa essere particolarmente sottile ed invisibile poiché si connette al controllo (Mazzoni E., La relazione di dipendenza, gelosia, invidia - www.prepos.it).
 D’altra parte, l’ebbrezza del potere e del controllo sulla propria vita e su quella degli altri è un circolo vizioso che attualmente contraddistingue molte donne, educate e rinforzate all’azione senza sosta. In questi casi l’apprezzamento del proprio compagno e  il riconoscimento da parte di parenti e conoscenti  delle proprie capacità organizzative, funzionano come rinforzo positivo. Il bisogno di acquistare meriti e raffinare la propria competenza induce  molte donne ad entrare in un circolo vizioso senza sbocchi: devono fare tutto da sole. Pertanto scoraggiano anche le offerte d’aiuto.
E’ una tentazione troppo forte potersi compiacere della propria bravura  e della consapevolezza di aver imparato a fare i salti mortali. E’ il miraggio del controllo della propria vita e, soprattutto, di quella altrui. E’ l’ebbrezza del potere.
Ma è un potere fasullo: per questo gli uomini lo cedono volentieri.
Attualmente un problema comune nel femminile è quello di potersi sottrarre almeno in parte dal carico delle proprie responsabilità. La donna, infatti, ha la lista delle esigenze altrui sempre in mente. Al contrario, l’uomo tende a lasciare i pensieri legati alla famiglia sulla soglia di casa, riuscendo a concentrarsi più efficacemente sulle cose che fa.
In tal senso, il tempo della donna è più frenetico, mentre quello dell’uomo è più dilatato.
Imparare a perdere tempo, o meglio, a sentirsi autorizzata a dedicarsi del tempo è un obiettivo di cui la donna tende a trascurare l’importanza.
Di conseguenza, si logora e logora chi la circonda in una costante rincorsa al tempo che manca, alle cose da fare, agli incastri organizzativi da realizzare. Ciò la costringe ad un’ipervigilanza costante, per evitare ogni imprevisto.(Ivana Castaldi, Meglio sole. Perché è importante bastare a se stesse, Feltrinelli, 2001).
L’uomo è sempre più squalificato dall’efficienza femminile e sempre più viene trattato come altro figlio, piuttosto che come compagno con il quale condividere.
Infatti, come vedremo, è nella definizione e realizzazione di un progetto e nel vivere un valore che il maschile e il femminile possono incontrarsi  in una generatività che non è solo quella biologica. Un’ulteriore comune differenza tra il maschile e il femminile è connessa all’attribuzione di importanza a certi contenuti, piuttosto che ad altri.
Per esempio, in una conversazione per l’uomo è importante l’argomento di cui si parla, per la donna la relazione che si instaura tra gli interlocutori.
Anche di fronte ad un problema da risolvere, l’uomo cerca la soluzione e la donna cerca di essere ascoltata. La frattura è tale in questo aspetto, che molto spesso la donna non si sente ascoltata e l’uomo si sente frustrato, perché non capisce l’insoddisfazione femminile di fronte alla risoluzione del problema.
D’altronde, gli uomini possono conversare per ore di innumerevoli argomenti, senza dire una parola riguardo al mondo personale, mentre le donne possono parlare di frivolezze, godendo, però, del piacere di confrontarsi.
L’uomo, in genere, ha difficoltà a parlare dei rapporti, anche di quelli molto vicini, e delle emozioni ad essi collegate. Per questo si allontana mentalmente quando la donna propone “Adesso parliamo del nostro rapporto”.
La conseguenza è che spesso l’uomo non si accorge che esiste un problema nella vita coniugale, fin quando la donna non chiede la separazione.
In quel momento l’uomo realmente rimane spiazzato, perché le ragioni della donna non hanno valore dal suo punto di vista. D’altronde, le donne generalmente riescono ad esprimere più esplicitamente le loro emozioni e i loro sentimenti. Nel maschile è presente una certa difficoltà  a prendere coscienza dei propri bisogni e delle proprie emozioni.
Ancor più spesso, l’uomo sa di cosa avrebbe bisogno e sa cosa sperimenta dal punto di vista emozionale, tuttavia non riesce ad esprimersi attraverso il linguaggio o la mimica. Nondimeno, la donna ha maggiori difficoltà dell’uomo ad esprimere l’ansia e la rabbia. Entrambe vengono, solitamente, mimetizzate, somatizzate attraverso malesseri che possono colpire anche gli organi interni.
L’uomo, in questo caso, è maggiormente capace di esplicitare l’ansia: la strilla, l’agisce, la trasforma in comportamenti ossessivi e/o aggressivi. 
Educata ad un maggiore autocontrollo, la donna viene aiutata anche dagli ormoni della maternità, che la rendono paziente e più adattabile. Tuttavia oggi la gravidanza è vissuta come una condizione ansiogena in sé, dal momento che è stata denaturalizzata e eccessivamente medicalizzata. Anche la menopausa, con i cambiamenti corporei che comporta, è una fase della vita femminile alquanto ansiogena. Anche se vivono silenziosamente quel passaggio, le donne ne avvertono nel corpo e nella psiche tutti i segnali, mentre all’uomo è consentito protrarre a lungo l’illusione della giovinezza.
Le donne sono ben coscienti della loro età e gli uomini no. Ciò li fa arrivare disarmati all’età dell’invecchiamento.
In più, vivono il pensionamento e il licenziamento come un lutto da ruolo, che li spoglia della loro identità. In tal senso, sembra che nel femminile ci sia una maggiore capacità di reagire ai lutti e agli  imprevisti esistenziali proprio usando come risorsa gli interessi propri della femminilità (relazioni familiari e amicali, lavori domestici, ecc).
Si può supporre che le donne in situazioni di crisi regrediscano meno, perché sanno che non troverebbero alcun rifugio accogliente e protettivo, come quelli a cui gli uomini sono abituati. Dal canto loro, quando gli uomini se ne vanno, hanno bisogno di sapere che le loro donne rimarranno rassegnate e fedeli ad aspettare il loro ritorno o almeno che cadranno in un abisso di disperazione. Questo non è solo un atto di egoismo, ma ha a che fare con la convinzione archetipica che il nomadismo maschile sia controbilanciato dalla stanzialità femminile. La rottura del protocollo atteso è uno dei motivi che inquietano gli uomini quando si apprestano a partire chissà per dove e perché, mossi, solitamente intorno ai 50 anni, dalla medesima inquietudine che faceva partire i loro nonni a 20. Solo che oggi le donne non aspettano più il loro ritorno.
 Hans Yellowshek, nel suo libro “Le regole della coppia”, sostiene che le differenze relazionali tra il maschile e il femminile possano solo essere accettate e prese come modelli a cui rifarsi. Al di là della genetica o degli apprendimenti socioculturali, la donna e l’uomo possono imparare  i comportamenti altrui, se riescono ad uscire dall’ottica della guerra tra i sessi. In accordo con Vincenzo Masini, si può affermare che: ”Le trasformazioni possibili nella relazione investono livelli plurimi di reciprocità”.
Nella reintegrazione della reciprocità  le donne ricercano il confronto  e la collaborazione con l'uomo  e fanno la proposta della reciprocità per ricomporre l'uguaglianza/parità e la differenza/diversità/separazione, per operare quindi un certo riequilibrio del rapporto uomo/donna nella mutualità. La conseguenza  è la dismissione delle rivendicazioni  e la valorizzazione dell'incontro e della relazione. La ricerca parossistica di uguaglianza, rincorsa dal femminismo, aveva fatto dimenticare la fecondità della diversità e della complementarietà ed aveva posto la donna in una condizione imitativa e non propositiva di cambiamento. Invece che trasmettere agli uomini alcuni contenuti della femminilità, aveva fatto acquisire alle donne connotazioni negative di mascolinità. In questo quadro la reciprocità viene dunque intesa come uguaglianza differenziata attraverso la quale ciascuno accetta l'altro per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse. Ciò non sembra che possa essere però  definito come reciprocità ma solo come necessità di costituzione di relazioni realistiche  in cui si mettono in conto conflitti e difficoltà ma che non escludono, anzi si riappropriano, dell'amor cortese, anticipazione  e superamento al tempo stesso della passione romantica.
La reciprocità non è sufficiente a modulare le relazioni tra il maschile e il femminile poiché, anche con il massimo di buona volontà, non riesce ad uscire dalla limitata dualità della relazione uomo-donna, o padre-figlio, madre-figlio, ecc. mentre  qualsiasi  gruppo sociale (in primis la famiglia) presuppone limitazioni delle influenze della coppia ed interferenze complesse tra tutti i membri.
L'ottica del superamento concettuale della reciprocità di coppia è essenziale per l'evoluzione della femminilità nella maternità e della maschilità nella paternità, luogo in cui i generi dell'uomo trovano unità superando la rottura individualistica e narcisistica.


Per approfondire

ANDREOLI V.,, E vivremo per sempre liberi dall’ansia, (Intervista di Marina Terragni), Edizioni BUR, 1999.
CASTALDI I., Meglio sole. Perché è importante bastare a se stesse, Edizioni Urrah, 2005.
GALIMBERTI U., La natura dell’amore, Feltrinelli, 2005.
MAZZONI E., Le relazioni di dipendenza, gelosia, invidia, www.prepos.it.
PARSI M. R., La natura dell’amore, Mondatori, 2005.
SCHELOTTO G., Uomini altrove. Storie di cinquantenni in fuga, Mondatori, 2004.
YELLOWSHEK H., , Le regole della coppia, Edizioni Hurrah, 2005.


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